Il Maresciallo Badoglio assume l'alto comando
Con l'occupazione di Macallè e le successive azioni di assestamento, il
Generale De Bono aveva esaurito il grave e fatidico compito che a lui era
stato affidato: organizzare basi e corpi d'esercito, preparare zona e genti
alla guerra, rompere fascisticamente gli indugi e passare il Mareb per
riportare ad Adua e a Macallè il tricolore d'Italia. Il Capo del Governo,
pertanto, in data 17 novembre, inviava all'Alto Commissario un telegramma,
nel quale, considerando compiuta la sua missione, gli dava atto di averla
assolta in circostanze estremamente difficili e con risultati che lo
additano alla riconoscenza della Nazione. E quale solenne attestato di
questa. S. M. il Re elevava il generale De Bono al grado di Maresciallo
d'Italia: a riconoscimento della duplice opera nel campo organizzativo ed in
quello operativo, compiuta dal Quadrumviro della Rivoluzione.
A sviluppare l'opera di S. E. De Bono, veniva chiamato S.E. il Maresciallo
d'Italia Pietro Badoglio, marchese del Sabotino, Capo di Stato Maggiore
generale, figura di soldato e di condottiero di grande prestigio e rinomanza
acquisiti nella grande guerra e nella preparazione delle forze armate
nell'ultimo decennio.
Il Maresciallo Badoglio giungeva all'Asmara il 25 novembre e tosto assumeva
il comando delle forze operanti.
La situazione nei vari settori di operazione alla fine di novembre
Durante il mese di novembre, si erano venuti maggiormente sviluppando ed in
parte completando i concentramenti di truppe etiopiche in entrambi i fronti,
quello eritreo e quello somalo. Dalle nostre ricognizioni aeree e dalle
informazioni di varia fonte, si riteneva di poter dedurre che il
raggruppamento delle forze nemiche si fosse effettuato in tre zone di
raccolta: una settentrionale, una meridionale, una centrale.
Nel settore settentrionale (fronte Eritreo) la massa principale attestava
con i suoi elementi più avanzati sopra una linea di circa 200 Km.
sviluppandosi lungo il Tacazzè (dal guado di Addi Aitecheb sino alla
confluenza col Ghevàj. il basso corso del Ghevà e l'orlo meridionale della
conca di Macallè fino a Sechet.
Nel tratto occidentale, a nord di Gondar, campeggiava un nerbo di forze
provenienti dal Goggiam agli ordini di Ras Innnirù, capo di quella regione
(circa 30.000 uomini).
Ad est, si andava raccogliendo nella zona fra l'Amba Alagi e Quoram una
forte massa (dai 50 ai 60 mila uomini) al comando di Ras Cassa Darghié. uno
dei Capi più polenti dell'Impero imparentato con la famiglia Imperiale.
Questa massa comprendeva gli armati dello stesso ras e quelli di Ras Sejum
Mangascià; ad essi del gen. Mariotti, la quale, procedendo melodicamente,
stava liberando il terreno dalle moleste retroguardie di Ras Sebhat.
Nel settore meridionale (somalo), risultavano due masse avversarie:
una più numerosa (da 50 a 60 mila armati) nella regione Ogaden-Harrarghiè,
agli ordini di Ras Nasibù:
l'altra, valutata circa 40 mila uomini, nelle alte valli degli affluenti del
Giuba, al comando di Ras Desta Damtù.
A queste forze abissine il Gen. Graziani opponeva le sue, ripartite in tre
nuclei, lungo le tre principali direttrici che consentono la vita ed i
movimenti di grosse colonne: davanti a Dolo, sul medio Giuba; attorno a
Callafo, sull'Uebi. e fra Gorrahei e Gabredarre, sul Faf.
Una forte massa centrale etiopica, inoltre, agli ordini del Principe
ereditario, era in via di raccolta attorno a Dessiè, con compito di manovra
e per la difesa della ferrovia, nonché in potenza per rafforzare, in caso di
bisogno, l'uno o l'altro degli scacchieri.
A Dessiè, poi. veniva segnalata anche la presenza del quartier generale
dell'Imperatore, contornato da una folla di consiglieri europei; primo fra
tutti, il generale Wehib Pascià, ufficiale del vecchio esercito turco, che
già aveva combattuto contro di noi in Libia.
Quanto alle intenzioni operative attribuite al Negus, non appariva agevole
trovare un nesso unitario e logico nelle confuse e contraddittorie
informazioni. Generalmente, però, il Negus appariva orientato verso
l'offensiva, alla quale, del resto, sembrava che l'Imperatore dovesse essere
sospinto, oltreché dal prestigio e dalla sicurezza politica della sua
posizione personale, anche dal malcontento e dall'ambizione dei vari Capi e
dalla necessità di galvanizzare il morale delle sue truppe e delle
popolazioni; tanto più che era lecito elevare qualche dubbio circa la
coesione morale di queste, appartenenti a razze diverse e spesso
contrastanti, prive di un sentimento nazionale, sia pure embrionale.
Le operazioni sul fronte nord (eritreo) nella prima quindicina di dicembre
Tra gli ultimi giorni di novembre ed i primi di dicembre le truppe del I
Corpo d'armata e del Corpo indigeno proseguivano nelle operazioni di
rastrellamento, nelle regioni dell'Uombertà e del Tembien; operazioni che
davano luogo a qualche vivace scontro con reparti avversari. Così, ad
esempio, il giorno 30 novembre, una nostra colonna, inviata dal passo Abarò
in ricognizione verso il villaggio di Melfa. al quale si accede attraverso
una difficile mulattiera che risale la stretta gola di Alemalè, veniva
improvvisamente attaccata da un nucleo di armati nemici, annidati fra le
rocce che fiancheggiano l'angusto passaggio. Prontamente ed efficacemente
reagivano i nostri, snidando dai loro ripari gli etiopici ed incalzandoli
alla baionetta.
L'indomani, la stessa colonna riprendeva il movimento verso Melfa, ma poco a
sud del passo Abarò veniva nuovamente attaccata da un più folto gruppo
nemico. Anche questa volta, però, lo scontro si chiuse con la sconfitta
degli etiopici e con loro notevoli perdite, mentre i nostri ascari non
ebbero che qualche ferito.
Parimenti sulla fronte del Corpo d'armata indigeno, il giorno 14, armati
abissini venivano attaccati e messi in fuga, innanzi a Deliri (a sud-ovest
di Macallè). e gruppi avversari venivano anche dispersi, dopo brevi
combattimenti, sulla fronte del II Corpo, a sud di Addis Rassi ed a Mai
Cannetta, località di pozzi tra Adua e Cacciamo, nel Tembien occidentale. Il
comunicato del giorno 7 dicembre, infine, annunciava l'occupazione di Abbi
Addi, capoluogo del Tembien. per parte di truppe del Corpo d'armata
indigeno, e la sorpresa di un forte gruppo etiopico nella zona del torrente
Gabat, a sud-ovest di Macallè. con la cattura di molti prigionieri.
Vivissima. in tutto questo periodo, l'attività della nostra aviazione, la
quale, quasi a coronamento del suo assiduo e redditizio lavoro di
ricognizione, compiva nei primi giorni di dicembre due importanti azioni di
bombardamento. La prima si effettuava contro una colonna di truppe del ras
Immirù. in marcia di avvicinamento tra Conciar e Dabat. In tre ondate
successive, i nostri apparecchi piombavano sulla grossa colonna, mentre
levava il campo, gravemente danneggiandola e sbandandola sotto i duplici
effetti del bombardamento da bassa quota.
Una seconda e più potente azione veniva, quindi, condotta il 6 dicembre nei
pressi di Dessiè, sopra un vasto accampamento abissino e su edifizi
visibilmente adibiti a scopi militari, anche se abusivamente rannidati sotto
i distintivi internazionali della Croce Rossa.
Su questo nostro bombardamento, ch'ebbe risultati efficacissimi, ed anche
ammonitori per l'avversario, il Governo etiopico tentò di inscenare una
speculazione politica, col diffondere la notizia che fossero stati colpiti
alcuni ospedali della Croce Rossa. Ma le chiare e ferme «messe a punto» del
nostro Governo valsero a stroncare presto quei bassi tentativi, che però,
come vedremo, si ripeteranno in mille forme durante tutta la campagna.
I combattimenti sul Tacazzè
Da parecchi giorni, frattanto, era incominciata un'intensa attività di
pattuglie etiopiche nella zona del Tacazzè. Così, un primo scontro si era
avuto nella regione di Addi Rassi (cominciato dal 5 dicembre); in un
secondo, nella regione a sud di Edda Encatò, un forte gruppo di armati
nemici fu attaccato all'arma bianca da nostri reparti e messo in fuga.
Il giorno 15, finalmente, il nemico manifestava chiaramente, in quel
settore, le sue intenzioni aggressive. Alle prime luci dell'alba, notevoli
forze avversarie, valutate a non meno di 3000 uomini, bene armati e
provvisti di mitragliatrici, di bombe e di altri mezzi moderni, attaccavano
improvvisamente i nostri posti avanzati, dislocati presso il guado di Mai
Timchet. Le nostre bande eritree, dopo aver opposto per alcune ore una fiera
resistenza, ripiegavano, di fronte alla grande preponderanza avversaria,
sulle retrostanti posizioni del passo Dembeguinà.
Mentre, però, si svolgeva questa lotta, altri forti nuclei abissini avevano
guadato il fiume più a valle (a sud di Addi Aitecheb) e per difficili
sentieri avevano già raggiunto il passo di Dembeguinà, impegnandosi con
nostri reparti che colà trovavansi per sbarrare la via di Axum. In tal modo,
le bande eritree ripieganti dal fiume vennero a trovarsi tra due fuochi, e
si videro costrette ad aprirsi il passo all'arma bianca.
Nostre nuove unità entravano intanto sul teatro della lotta che ardeva
accanita per due giorni. Ad essa prendeva come sempre at-tivissima parte la
nostra aviazione, con effetto notevolissimo, non ostante l'impervio terreno,
la fitta vegetazione e gli anfratti rocciosi, che facilitavano
l'occultamento avversario. Alla fine, il giorno 17. la colonna abissina che
aveva effettuato la mossa aggirante sul passo veniva dispersa, con gravi
perdite, ed i nostri si stabilivano saldamente tra Dembeguinà ed Axum.
Le perdite nostre, anch'esse molto notevoli, stanno a dimostrare con quale
deciso valore ufficiali e soldati, nazionali ed eritrei, abbiano affrontato
la lotta con forze di gran lunga superiori.
I combattimenti nel Tembien
(Aliasi contemporaneamente all'intensificata azione sul Tacazzè,
un'inconsueta attività avversaria si manifestava anche nella zona del
Tembien. e più precisamente a sud di Abbi Addi, il capoluogo della regione
ed importante centro di comunicazioni, da noi occupato nei primi giorni del
mese.
Un primo attacco si pronunciò il giorno 19; un gruppo di armali nemici tentò
di avvicinarsi alle nostre posizioni, ma fu prontamente contrattaccato e,
dopo vivace combattimento, battuto e disperso. Questo non era stato che un
tentativo di assaggio, per verificare la consistenza della nostra
occupazione. Il mattino del giorno 22. una colonna forte di almeno 5000
armati del degiac Hailiè Chebbedè, unitamente a due grossi nuclei, comandati
da due sottocapi di Has Sejum Mangascià. attaccava frontalmente le nostre
posizioni sul Tanquà. in corrispondenza di Abbi Addi, mentre un altro forte
distaccamento nemico, attraversando il pianoro di R. Andino, cadeva con
violenza sulle nostre linee, nei pressi della chiesa di Enda Mariam Quarar.
Gli abissini, approfittando del terreno molto rotto e coperto, riuscivano ad
oltrepassare il Mai Tanquà e l'abitato di Abbi Addi, mentre dalla chiesa di
Enda Mariam tentavano di avvolgere la nostra sinistra.
Le nostre truppe, nazionali ed eritree, contrattaccavano con deciso impeto,
riuscendo a sventare la manovra avversaria. Dopo un combattimento
accanitissimo, durato circa sei ore e particolarmente aspro presso Enda
Mariam. l'avversario, premuto dai nostri era costretto a sospendere gli
attacchi ed a ripiegare su Abbi Addi,
Più che mai rilevanti le perdite nemiche. in questa giornata del 22
dicembre; e sensibili anche le perdite nostre.
Anche questo attacco non fu che il prologo di un disegno di manovra più
vasto, evidentemente inteso a pronunciare dal Tembien una minaccia sulle
nostre linee di comunicazioni Hausien-Macallè.
Non più piccole avvisaglie: si entrava ormai nella fase di vere e proprie
azioni strategiche ad ampio raggio e con forti masse.
Le operazioni sul fronte meridionale (somalo)
Durante il mese di dicembre, non si ebbero in tale settore operazioni di
rilievo. Il nostro Comando, cui erano giunte notizie circa le intenzioni
offensive di Ras Desta, che si era posto in marcia verso le nostre linee
dell'Alto Giuba (Dolo) ne sorvegliava attentamente le mosse, cercando, per
intanto, di infliggergli il maggior danno possibile per mezzo
dell'aviazione.
Così, ad esempio, dopo il bombardamento del 14 dicembre, presso Neghelli.
che si seppe aver prodotto danni e perdite notevoli, altri concentramenti
avversari furono bombardati, il giorno 25 dello stesso mese, fra il Dana ed
il Ganale Doria.
Un'azione, di una certa entità, fu svolta negli ultimi giorni del mese,
dagli irregolari del sultano degli Sciaveli fin oltre Callafò. ore era
segnalata la presenza di un nucleo di truppe etiopiche. al comando del
degian Bein Hemerit. Infatti, la colonna potè spingersi, indisturbata, fino
a circa 200 chilometri oltre le nostre linee avanzate di Callafò.
fortificandosi nei pressi del villaggio di Gabba. Qui. il giorno 26
dicembre, veniva assalita da due forti colonne abissine (circa 5000 uomini)
provenienti da nord, e s'ingaggiava un aspro combattimento, che durava oltre
24 ore. Alla fine, però, gli Sciaveli. tempestivamente sostenuti dalla
nostra aviazione, riuscivano ad aver ragione dell'avversario ed a respingere
gli assalitori i quali lasciavano sul terreno circa 500 morti, tra cui vari
Capi e lo stesso comandante di una delle colonne.
Il giorno seguente, un'altra banda, al comando del Capii Musatili Hailè
degli Ogaden Rer Dalal. a noi sottomessi qualche settimana prima, occupava
l'importante località di Danane. centro carovaniero e località d'acqua nella
valle del Baua (affluente di sinistra dell'Uebi Scebeli).
Continuavano, frattanto, le sottomissioni di Capi, di notabili, di armati.
Dopo quella del surricordato Hussein Hailè. si presentavano anche alle
nostre autorità i capi degli Ogaden Makahil. degli Ogaden Rer Elmi, e degli
Scekal Au Hassan, facendo atto formale di sottomissione e mettendo i loro
armati a nostra disposizione. Il capo Abd el Kerim Mohammed. figlio del
Mullah che già erasi sottomesso, portava a termine anch'egli la completa
sottomissione della sua tribù. Ogaden Bagheri, consegnando un migliaio di
fucili.
Il 13 dicembre, infine, una cerimonia molto importante per la situazione
politica dell'Ogaden si svolgeva a Gorrahei. Si riuniva, cioè, un grande «
scir » (assemblea tradizionale), nella quale ben trentacinque capi e
notabili, appartenenti al Rer Abdullah. procedevano ad un grande,
significativo atto di sottomissione in massa. La gran folla convenuta
nell'ampia spianata di Gorrahei conferiva all'avvenimento un vero carattere
di solennità, che non poteva non mancare di avere larghe ripercussioni in
quelle regioni venute a contatto del nostro esercito liberatore e
civilizzatore.
Amedeo Tosti