Le marce su Gondar e su Sardò
La triplice vittoria dell'Endertà,
del Tembien e dello Sciré aveva posto maggiormente in luce le deficienze
intrinseche dell'esercito etiopico e cioè: la scarsa capacità manovriera
delle masse a causa soprattutto dell'assenza di un conveniente apparato
logistico*; la mancanza di scaglioni retrostanti atti a sfruttare un
eventuale successo; la mancanza di coordinamento tra le operazioni delle
varie armate.
Ad un avversario che fosse stato dotato di una maggiore saldezza e forza di
coesione, anche dopo la triplice sconfitta subita sulla fronte
settentrionale, sarebbe stato possibile rannodare le file, rinsaldarle
opportunamente ed opporre ulteriori resistenze, se non tentare risolutamente
la riscossa. La massa di ras Mulughietà, infatti, disponeva pur sempre di
alcune decine di migliala di uomini; avanzi considerevoli delle armate di
ras Cassa e ras Sejum erano riusciti a sfuggire alla nostra morsa;
altrettanto poteva pensarsi di quella di ras Immerù; intatte, infine, erano
le forze di Aialeu Burrù, valutate a circa 30.000 uomini. Altri rinforzi
avrebbero potuto esser tratti certamente dal paese.
E' merito del nostro Comando Superiore aver intuito la grave crisi in cui il
nemico si dibatteva, così da considerarlo ormai incapace di ogni forza
reattiva. A dare questa netta sensazione concorrevano elementi molteplici;
ma prima di ogni altro, la considerazione che l'estrema debolezza
dell'organismo statale del cosiddetto Impero, avrebbe impedito lo stringersi
di tutte le forze di esso attorno al Negus, per la suprema difesa del Paese
e della corona.
Tanto di ciò era convinto il Comando Superiore dell'A. O. da non esitare a
sostituire all'azione di una massa frontalmente compatta dall'Endertà allo
Scirè, l'avanzata di colonne indipendenti su direttrici largamente
intervallate e separate fra loro da poderosi ostacoli naturali.
Fu così che il Maresciallo Badoglio, pur predisponendo l'avanzata di forze
importanti (I Corpo d'Armata e Corpo d'Armata eritreo; nella direziono
principale del lago Ascianghi e di Dessiè. spingeva arditamente in avanti
lutto il resto della fronte, puntando con colonne varie verso obiettivi
importanti delle regioni interne.
L'avanzata a sud del Tacazzè
Così, il III Corpo d'Armata, passato il giorno 5 marzo il Ghevà. si dirigeva
verso sud, occupando il giorno 13 Fenaroà, ed il 28 dello stesso mese, dopo
penosissima marcia, raggiungeva l'importante centro di Socotà, capoluogo
dell'Uag e centro di comunicazioni verso Dessié, Addis Abeba. il lago Tana e
Gondar.
Le truppe del II Corpo, dopo aver passato con colonne leggere il Tacazzè e
gettato un ponte lungo 110 metri su di esso, a Mai Timchet, giungevano il
giorno 11 ad Addi Arcai, nello Tzellemti; dopo una sosta di alcuni giorni
riprendevano quindi la marcia, ed il 28, superato il difficile passo montano
di Lemalemò, occupavano Debarech, capoluogo delPUogherà, senza incontrare
alcuna resistenza. Da Debarech, parimenti indisturbate, proseguivano su
Dacuà (12 km. circa a S.O. di Debarech).
Più ad ovest, colonne leggere, passato il Setit e procedendo attraverso
l'altipiano occidentale, occupavano El-Eghin e puntavano quindi, attraverso
l'altipiano di Alcadrà, su Noggara, nodo di comunicazione collegante il
Sudan Egiziano con Caftà, capoluogo del-PUolcait, e con la zona di Gondar.
Tra i giorni 24 e 28 marzo Caftà veniva raggiunta ed occupata insieme con la
forte posizione del Hircutam. difesa da 300 armati di Aialeu Burrù, così che
veniva assicurato il nostro dominio su tutta la regione dell'Uolcait. La
avanzata continuava poi, raggiungendosi il giorno 28 Addi Remoz, ove nei
giorni successivi si presentavano a fare atto di sottomissione tutti i capi
dell'Uolcait, nonché un gruppo di notabili dello Tsegghedé. non ancora
occupato. Nell'Uolcait. inoltre, numerosi armati della zona di Caflà
chiedevano di essere incorporati nelle nostre truppe.
La marcia della colonna Storace su Gondar
Frattanto, fin dai primi giorni del mese, era stato ordinato il
concentramento all'Asinata di una colonna completamente motorizzata,
composta del III reggimento bersaglieri, del battaglione CC. NN. «Mussolini».
di artiglieria autocarrata, motomitragliatrici ed autoblinde, servizi
autocarreggiati con dotazioni per 30 giorni, complessivamente 3000 uomini e
500 automezzi. Il comando di detta colonna fu dato al Luogotenente Generale
Achille Starace, Segretario Generale del Partito. Compito : marciare su
Gondar. l'antica capitale dell'Etiopia e centro del Goggiam. distante circa
350 chilometri.
La marcia di questa colonna, iniziatasi il giorno 16 marzo e proseguita
rapidamente prima attraverso le torridi regioni del Caftà, poi per
l'accidentata regione dello Tsegghedè, solcata da numerosi fiumi e torrenti
di difficilissimo guado, infine attraverso la zona montuosa che domina
Gondar, ebbe aspetti veramente eccezionali.
Particolarmente difficili furono i guadi del fiume Angareb e dei torrenti
Boban e Sengià, poiché i soldati dovettero costruirsi dei passaggi
improvvisati lavorando per ore ed ore di piccone e di accetta nel clima
gravosissimo dell'altipiano occidentale.
Al passaggio dell'Angareb, che richiese dodici ore di sforzi tenaci,
assistevano, in atteggiamento minaccioso, da talune alture circostanti
rilevanti forze armate nemiche, le quali si proponevano, probabilmente, di
attaccare i nostri in quel tratto particolarmente difficile. Ma dovette
essere tale la impressione, davanti a quella specie di apocalittico serpente
di acciaio quale ai loro occhi appariva la nostra mostruosa colonna
autocarrata, snodantesi per circa una quindicina di chilometri, con i fari
fantasticamente accesi nella notte e le mitragliatrici puntate, da incuter
loro paurosa riverenza; certo, alcuni abitanti del paese dichiararono più
tardi di aver pensato che sarebbe stato inutile tentare 1 combattimento
contro un complesso meccanico tanto più forte di loro e delle loro armi.
Con tappe giornaliere medie di 25 chilometri la colonna giungeva verso la
fine di marzo al colle di Chercher, ma qui la mancanza assoluta di una
strada o almeno di una pista più o meno transitabile avrebbe costretto la
colonna a sostare più giorni, se il Comandante non avesse deciso senz'altro
di abbandonare gli automezzi, lasciandoli parcati sotto la guardia di un
battaglione di bersaglieri, e di proseguire a piedi per Gondar con le altre
truppe.
Su terreno cosparso di ogni asperità - rocce, sassaie, dirupi, sterpi -
portando a spalla viveri e munizioni, per quindici giorni i nostri soldati
marciarono instancabili, più che mai entusiasmati dal presagio della mèta
ormai prossima. L'ultima notte fu passata all'addiaccio, senza tende, sul
pianoro a duemila metri di altitudine, che dista venti chilometri da Gondar.
La mattina del 1. aprile, finalmente, dopo altre quattro ore di corsa, si
può dire, più che di marcia, le nostre truppe entravano nell'antica città
dei castelli portoghesi, accolte all'ingresso di essa dall'intera
popolazione festante, col supremo capo religioso in sacri paludamenti,
circondato dai degiac e dai fitaurari della regione.
Pochi giorni dopo, la prima bandiera italiana rifletteva i suoi colori
trionfali nelle acque del lago Tana, dalla punta più alfa della penisola di
Gorgorà, che Starace battezzava Vetta Mussolini.
La marcia della colonna Ruggero su Sardo
Nei primi giorni del mese stesso di marzo, un'altra marcia veramente epica
era stata compiuta dalle nostre truppe, nel settore orientale: quello
dell'«inferno dancalo», così efficacemente descritto dal compianto
Franchetti.
Fin dall'ottobre, come testa di ponte avanzata della baia di Assab. era
stata effettuata, in quel settore, l'occupazione del massiccio di Mussalli,
al confine della Somalia francese, a circa cento chilometri dal mar Rosso.
Da questa specie di campo trincerato, il nostro Comando pensò di far muovere
una colonna verso il cuore dell'Aussa.
La spedizione fu preparata con ogni meticolosa cura, così da assicurarne il
successo: si sapeva che durante il percorso non si sarebbe trovato né un
filo d'erba, né un sorso d'acqua; bisognava, quindi, clic le truppe si
caricassero di tutto quello che poteva loro abbisognare ed esser portato
senza soverchio peso ed impaccio : tutto il resto doveva esser rifornito per
via aerea.
Per la composizione della colonna, naturalmente, fu data la preferenza a
truppe indigene, benché anche per queste dovessero essere non lievi le
sofferenze, cagionate da una temperatura aggirantesi sui sessanta o
sessantacinque gradi. Con una dotazione di mezzi modernissimi, poi, si cercò
di ottenere la massima potenza, congiunta ad un'eccezionale rapidità. Il
comando fu dato al Colonnello Ruggero.
Venticinque aeroplani, aventi base ad Assab, furono destinati ad
accompagnare la colonna, in servizio di guida, di protezione, di
accompagnamento, e questi nostri apparecchi compirono un'opera veramente
mirabile, segnalando la presenza di bande ostili, disperdendole con
mitragliamenti e bombardamenti, provvedendo ai rifornimenti di derrate ed in
particolare dell'acqua, l'elemento in quel deserto più prezioso, mediante
lanci con paracadute e audacissimi atterraggi di fortuna (ben 97!) in un
terreno nel quale anche il cammello si rifiuta talvolta al cammino, per le
continue asperità presentate dalla terra lavica e la mancanza di superfici
piane su cui posare il piede.
Il primo tratto della marcia fu compiuto da due colonne: una, principale,
partita da Assab, e l'altra, secondaria, mossa da Beilul. A Oddolò le due
colonne si congiunsero, il 5 marzo, e la marcia fu ripresa, dopo un breve
riposo, nella terra riarsa, ove riusciva difficile persino la conservazione
dell'acqua a causa dell'evaporazione determinata dall'altissima temperatura.
Dopo 350 chilometri di cammino sotto il caldo snervante e le raffiche
tremende del vento del deserto, il kamsin, il giorno 10 marzo le nostre
truppe giunsero in vista di Sardo, località centrale del sultanato dell'Aussa.
Nell'ultima giornata furono compiuti ben 66 chilometri di marcia
consecutivi, per quattordici ore senza alcun arresto, attraverso cinque
giogaie vulcaniche, spoglie di ogni traccia di vegetazione.
Nelle vicinanze di Sardo, una pittoresca cavalcata d'indigeni venne incontro
alle nostre truppe, le quali, alle ore dieci antimeridiane dell'11 marzo,
entravano nel capoluogo dell'Aussa, confermando e suggellando così i
rapporti tra questa regione e l'Italia, già regolati da un trattato
stipulato fin dal dicembre 1888, dal conte Antonelli.
Presso il ghebì di Sardo, residenza del Sultano e nello stesso tempo
fortilizio, erano allineati i 25 aeroplani assegnati alla spedizione, che
avevano brillantemente atterrato in quel campo di fortuna.
Mezz'ora dopo, davanti ad un quadrato imponente di armati, venne innalzalo
sulla residenza il tricolore italiano.
Con questa marcia memorabile fu scritta una pagina superba, incancellabile
di storia coloniale, creando un esempio perfetto di quello che deve essere
la marcia di forze militari in terreni desertici di particolare asprezza,
come quello della Dancalia.
Importantissimi, infine, furono anche i risultati militari e politici
dell'impresa, perché con l'occupazione di Sardo si era venuta a creare una
formidabile minaccia sul fianco dell'esercito abissino. e ad ottenere,
inoltre, la possibilità geografica di riunire aviatoriamente il fronte
eritreo a quello somalo.
Con le occupazioni avanzate di Gondar e di Sardo, lo sfruttamento delle
vittorie dell'Endertà, del Tembien e dello Scirè, così risolutamente attuato
dal nostro Comando Superiore, aveva consentito, nel volgere di pochi giorni,
di far eseguire alla nostra fronte settentrionale, sopra una linea di circa
400 km. circa, una vasta conversione verso sud, portando la nostra
occupazione fino alla linea Gondar-Socotà-Sardò.
Nessuna reazione importante, da parte avversaria; negli ultimi giorni di
marzo veniva segnalato, invece, il movimento delle truppe del Negus verso il
Lago Ascianghi. Ma sulle alture di Mai Ceu e di Corbella le nostre truppe
attendevano impavide il supremo, disperato urto nemico.
Amedeo Tosti