Operazioni militari dal
31 marzo al 4 aprile 1936
La battaglia dell'Ascianghi
Dopo la battaglia dell'Endertà, l'occupazione dei passi
di Alagi e le battaglie del Tembien e dello Scirè, la situazione
dell'avversario poteva così riassumersi:
- completo dissolvimento delle armate battute;
- morte di ras Mulughietà, ucciso dagli azebù-galla durante la ritirata;
- incertezza sul da farsi da parte di ras Cassa e di ras Sejum, ridotti con
pochi armati al seguito;
- ritirata, di ras Immirù con scarse forze verso il Semien, preoccupato,
forse, del Goggiam in rivolta;
- esistenza di un'armata di forza imprecisata, in via di raccolta fra Gobbo
e Quoram, e della quale molto probabilmente avrebbe assunto il comando il
Negus;
- spirito della popolazione a noi favorevole.
In tale situazione che mi apriva ovunque le porte, tranne sulla via di
Quoram, poteva avere completa attuazione il mio primitivo concetto d'azione
e cioè condurre battaglia decisiva senza dar posa al nemico, fino al suo
completo annientamento.
Mentre ancora erano in corso le battaglie del Tembien e dello Scirè pensavo
al nuovo schieramento che le grandi unità avrebbero dovuto assumere e
concretavo un vasto, completo e organico programma di lavori difensivi,
stradali e di organizzazione politica.
Tali lavori erano ispirati al seguente concetto: "assicurare ad un tempo il
solido possesso e l'ordinato assetto del vasto territorio conquistato;
addensare sulle due principali vie di penetrazione le truppe necessarie allo
sviluppo delle operazioni e costruire le strade necessarie al loro
movimento".
In base a tale concetto impartivo tra il 4 ed il 12 marzo i seguenti ordini:
- al I Corpo d'Armata di predisporre l'occupazione di Mai Ciò e di Corbella
e ciò sia allo scopo di prevenire il nemico che accennasse da Gobbo a
risalire verso nord, sia perché ritenevo tali posizioni favorevoli per la
nuova battaglia che intravedevo possibile;
- al Corpo d'Armata eritreo di concentrarsi nella zona di Buie a mia
disposizione;
- al II Corpo d'Armala di passare il Tacazzè, di stabilire una testa di
ponte nella zona Haidà-Adi Arcai e di studiare l'avanzala su Debarech-Dacua;
- Al III Corpo d'Armala di raggiungere al più presto la sua nuova
dislocazione nella zona Samrè-Fenaroa e di preparare l'occupazione di Socotà;
- al IV Corpo d'Armala di assumere il presidio del settore Adua-Tembien e di
organizzare a difesa tale tormentata regione.
Contemporaneamente e a conclusione di una melodica e felice azione politica
svolta, ordinavo alle truppe dislocate nel basso-piano occidentale di
procedere all'occupazione dell'Uolcait e alla colonna, appositamente
preparala nel bassopiano orientale, di penetrare nell'Aussa. Infine, riunivo
in Asmara, dove erano slati già preparati adeguati mezzi automobilistici, il
3° reggimento bersaglieri, il battaglione CC. NN. "Benilo Mussolini", un
gruppo di artiglieria autotrainato, uno squadrone autoblindo-mitraglialrici,
nonché elementi vari del genio e dei servizi per costituire una colonna
celere autocarrata destinata ad occupare Gondar.
Mentre si svolgevano i suaccennati preparativi la mia attenzione si fermava
sulla zona del lago Ascianghi, ove la situazione nemica era in pieno
sviluppo, e sulla battaglia che avrebbe dovuto inevitabilmente svolgersi
contro l'ultimo residuo degli eserciti del Negus.
Il giorno 6 marzo avevano inizio i primi movimenli. Fra il 6 ed il 17 il I
Corpo d'Armala occupava Corbella e le allure fra monte Bohorà ed il passo
Mecan, assicurando così il possesso della conca di Mai Ciò.
Fra il 6 ed il 28 il II Corpo d'Armala guadava il Tacazzè ed occupava dopo
lunga e faticosa marcia, Debarech e Dacua. Tra il giorno 6 ed il giorno 12
il III Corpo d'Armata si raccoglieva nella zona Samrè-Fenaroa e fra il 20 e
il 28 raggiungeva ed occupava Socotà. Fra il giorno 8 ed il 12 le Iruppe del
bassopiano orienlale occupavano Sardo nell'Aussa. Fra il 10 ed il 13 marzo
la colonna celere autocarrata si concentrava e si costituiva nei pressi del
lago d'Acria, per poi, fra il 15 ed il 19, trasferirsi ad Om Hager.
Tale colonna, preceduta dalle truppe del bassopiano occidentale, che fra il
12 ed il 14 avevano occupato Noggara e Abd el Rafi, il giorno 20 guadava il
Setit e si dirigeva su Gondar, mentre al suo tergo le truppe del bassopiano
occidentale, con l'occupazione di Cafta, Sola e Adi Remoz, assicuravano il
possesso di lutto l'Uolcait e dello Tzeghedè.
Il giorno 1° aprile la colonna celere e la III brigata eritrea, proveniente
da Dacua, occupavano Gondar.
Così a circa tre settimane dalle battaglie del Tembien e dello Scirè erano
occupate, dopo marce di 50 chilometri, le alture a sud della conca di Mai
Ciò, sulle quali si preparava una nuova battaglia; dopo marce di duecento
chilometri Socotà, capoluogo dell'Uagg, all'incrocio di importanti
carovaniere irradiantesi verso Dessiè, Addis Abeba, la regione del Tana e
del Goggiam; dopo marce di 150 chilomelri Debarech, capoluogo dell'Uogherà e
importante mercato di quell'alta regione e più a sud Dacua sulla via di
Gondar; dopo marce di 350 chilometri Sardo nei pressi del fiume Auasc,
residenza eventuale del sultano dell'Aussa; dopo marce di 300 chilometri
tutto l'Uolcait e lo Tzeghedè e, infine, dopo una faticosissima marcia di
320 chilometri, in terreni boscosi e assolutamente proibitivi al transito
degli automezzi, si occupava Gondar, centro etnico commerciale e storico
importantissimo.
Così senza colpo ferire venivano aggiunti circa sessantamila chilometri
quadrati di terreno ai quarantamila conquistati con le operazioni
precedenti.
Ovunque le popolazioni, ormai conscie della nostra forza e della nostra
potenza, accoglievano le nostre truppe molto benevolmente.
L'avanzata contemporanea di così numerose colonne su di un arco di circa
seicento chilometri e con obbiettivi lontani oltre trecento chilometri
importavano lavori e predisposizioni molto complessi, la cui attuazione, se
studiata sulla base di dati e concetti teorici, ne avrebbe sicuramente
esclusa ogni possibilità.
Occorreva quindi non soffermarsi sullo studio, ma passare senz'altro alla
pratica esecuzione così com'è stato fatto.
Le truppe ed i servizi avevano compiuto, nel precedente ciclo operativo,
sforzi che potevano essere giudicati superiori ad ogni possibilità, ma io
sapevo di poter sempre fare sicuro affidamento sulla perfetta organizzazione
raggiunta in ogni campo, e soprattutto sull'alto e indomabile spirito di
tutti, esaltato dalla vittoria, sulla volontà di ognuno di giungere alla
meta, sull'orgoglio di tutti che la meta assegnata fosse lontana e dura la
fatica per raggiungerla.
Per dare un'idea dello sforzo compiuto, non occorre dilungarsi. Basti
accennare ai seicento chilometri di pista automobilistica aperta dalle
truppe; alle centinaia di chilometri percorsi su terreni asprissimi ed in
talune zone ad altitudini superiori ai tremila metri; ai ponti celermente
gettati dal genio; agli ingenti quantitativi di munizioni, di viveri e di
materiali di ogni genere trasportati con ogni mezzo, dall'aereo
all'autocarro ai portatori (oltre sessanta tonnellate di viveri sono state
portate a spalla da quattromila soldati per quaranta chilometri); allo
schieramento di numerose batterie da posizione, tra le quali molte issate a
forza di braccia su inaccessibili ed impervie vette; al percorso di
un'autocolonna con circa cinquecento autocarri da Om Hager fino a Gondar
lungo la carovaniera da noi aperta fin dal 1905, ma mai percorsa da neppure
un solo automezzo.
Questi sono tutti sforzi che hanno del prodigioso e tutti sono stati
felicemente e ordinatamente superati con animo lieto, col più confortante
buon umore, con una insuperabile resistenza fisica ad ogni fatica e ad ogni
disagio, con uno spirito sempre elevato anche sotto l'inclemenza del tempo e
della pioggia che sovente e per intere giornate tormentava uomini e cose:
fattori questi che costituiscono una particolare caratteristica dell'attuale
campagna.
Allo scopo di prevenire gli armati etiopici che alla fine di febbraio
risultavano dislocati tra Gobbo e Quoram. il giorno 28 febbraio, mentre era
ancora in corso la battaglia del Tembien, venivano occupati i passi di Alagi.
Frattanto, si accentuava lo spostamento verso nord dell'avversario, la cui
consistenza aumentava sempre più. Il 12 marzo i primi elementi apparivano
sul passo di Agumbertà e dopo la metà del mese la sua forza complessiva.
secondo quanto riferivano le varie fonti di osservazione, veniva valutata
dai 30 ai 50.000 armati.
Il giorno 21 marzo il Negus si spostava da Dessiè a Quoram ed assumeva il
comando diretto delle truppe.
Contemporaneamente al movimento del Negus, avveniva l'occupazione della
conca di Mai Ciò da parte di truppe del I Corpo d'Armata e lo spostamento
del Corpo d'Armata eritreo dalla piana di Buie alla zona Mai Ciò-Corbettà, a
disposizione del Comando Superiore.
Alle forze del Negus contrapponevo così due corpi d'armata.
Circa le intenzioni operative dell'avversario non risultava ancora chiaro se
intendesse opporsi alla nostra ulteriore avanzata oppure tentare la sorte
delle armi attaccando le nostre posizioni.
Quest'ultima ipotesi, però, trovava una maggiore rispondenza nelle notizie
più recenti pervenute da fonti attendibili.
Il giorno 28 marzo la situazione reciproca poteva essere così riassunta:
- da parte avversaria:
15.000 armati schierati sulle posizioni di Ajà; 30-35.000, compresa la
guardia del Negus, nella zona di Agumbertà ed altre forze, probabilmente,
nella zona di Quoram;
- da parte nostra:
il I Corpo d'Armata occupava, con la 5a divisione alpina Pusteria
e l'8° gruppo battaglioni eritreo, le posizioni tra passo Mecan e monte
Bohorà, mentre le rimanenti forze stavano assumendo la seguente
dislocazione: divisione Sabauda tra Belagò e passo Dubbar; 4a
divisione CC NN. e 6° gruppo battaglioni CC. NN. tra passo Dubbar ed i passi
di Alagi; divisione Assietta nella zona a nord dei detti passi; il Corpo
d'Armata eritreo tra Mai Ciò e Corbella. Frattanto, sul lergo delle nostre
posizioni fervevano i lavori per completare la costruzione delle piste
automobilistiche e la costituzione dei depositi di munizioni e viveri.
La nostra situazione poteva considerarsi ottima sotto tutti i punti di
vista, e mentre tutto era pronto per ricevere l'attacco nemico, anche la
preparazione per il nostro attacco aveva raggiunto un buon grado di
efficienza.
In tale situazione emanavo l'ordine di operazione, col quale, a seguito
delle predisposizioni di carattere logistico, disponevo il perfezionamento
dello schieramento difensivo, atto a respingere qualsiasi attacco
avversario, e davo gli ordini per la nuova battaglia, e precisamete:
- il I Corpo d'Armala, con azione metodica, atta a sviluppare la maggiore
quantità di fuoco, doveva procedere all'attacco della fronte tra passo Mecan
e monte Bohorà ;
- il Corpo d'Annata eritreo, a mia disposizione, schierato tra l'altipiano e
la sottostante piana di Corbella, doveva tenersi pronto per intervenire
nella battaglia o manovrare a largo raggio sulle retrovie nemiche per
sfruttare il successo mediante l'inseguimento spinto a fondo ed il più
lontano possibile. Il nostro attacco era predisposto per il giorno 6 aprile.
Nelle prime ore del mattino del 31 marzo, l'attacco degli armati del Negus,
preveduto da precisi indizi e da fondatissime notizie e quindi alteso, si
pronunciava contro le nostre munite posizioni di passo Mecan e di monte
Bohorà.
Diretto dapprima sulla destra del nostro schieramento contro la 5a
divisione alpina Pusteria l'attacco principale si sferrava violento e
insistente specialmente contro il Corpo d'Armata eritreo, mentre altri
attacchi secondari si delineavano su tulla la fronte e segnatamente sul
fianco destro.
Le nostre truppe resistevano bravamente e contrattaccando ributtavano il
nemico ovunque.
A tali azioni si sommavano quelle svolte dagli azebù-galla. da noi attratti
e armati, che. con ripetuti attacchi sul fianco, infliggevano notevoli
perdite.
Fallito il primo attacco, verso mezzogiorno e verso le ore sedici, il Negus
lanciava nuovamente le sue truppe contro il Corpo d'Armata eritreo,
impegnando in questo nuovo sforzo, gran parte delle sue forze, compresa la
guardia imperiale, che nella sua mente, forse, sperava poter riservare, ad
attacco riuscito, per arditi progetti offensivi.
Il piano del Negus, basato sulla convinzione che le nostre truppe eritree,
classiche nello slancio offensivo, mal resistessero contro attacchi
reiterati ed insistenti, era fallito.
Le truppe nemiche. bene addestrate e abbondantemente armate di moderne
mitragliatrici, di artiglierie e di bombarde, avevano bravamente combattuto,
ma il Negus ormai, alla fine della cruenta giornata, doveva convenire che
era vano lottare contro la potenza del nostro esercito.
A parte episodi di scarsa importanza e aggressioni brigantesche, senza
alcuna caratteristica militare, che non possono davvero considerarsi azioni
offensive, l'esercito etiopico, dopo le sconfitte subite nelle sue tre
grandi battaglie difensive, veniva altrettanto decisamente battuto nella sua
prima ed unica battaglia offensiva.
Dopo che i suoi ras erano stati sconfitti al comando dei loro eserciti,
anche il Negus subiva la stessa sorte alla testa del suo esercito personale
e modernamente armato, perdendo molte mi-gliaia di uomini, numerosi capi e
sottocapi e abbandonando sul campo di battaglia ingenti quantità di armi, di
munizioni e di materiali di ogni genere.
La prova poteva considerarsi, ormai, decisiva.
Il giorno 1° aprile alcuni attacchi si delineavano su vari tratti della
fronte e ciò allo scopo evidente di mascherare il ripiegamento.
Alle prime luci dell'alba del 2 aprile l'esercito del Negus, sconfitto,
demoralizzato, decimato dalle gravi perdite e dalle numerose diserzioni
avvenute durante la battaglia, appariva ritirato sulle posizioni di Adi
Assel Gherti, ove veniva tormentato dall'azione veramente terrificante della
nostra infaticabile aviazione.
Senza indugio diramavo l'ordine per l'inseguimento.
Nella giornata del 2 aprile il I Corpo d'Armata si attestava con le sue
divisioni sulle posizioni di passo Mecan. mentre il Corpo d'Armata eritreo
ridiscendeva a Corbella pronlo per poter agire sul tergo dell'avversario.
Il giorno 3 i due corpi d'armata procedevano verso sud. A sera, il I Corpo
d'Armata, dopo aver superato tenaci resislenze raggiungeva il colle di Ezbà,
mentre il Corpo d'Armata eritreo si attestava al torrente Agumbertà in
condizioni di far sentire la sua azione aggirante.
Il nemico forse ignaro dell'accerchiamento che lo minacciava permaneva
ancora con una forte massa sulle aspre posizioni di Adi Assel Gherli.
Il giorno 4 i due corpi d'armala riprendevano l'avanzata, dando
all'avversario la sensazione della sua completa rovina.
Premuto di fronte, minacciato di fianco, inseguito dagli azebù-galla.
inesorabilmente battuto da tutta l'aviazione, che pronta ed ardita come
sempre lanciava fino all'ultimo suo apparecchio senza distinzione di tipo
purché potesse recare a bordo la sua offesa e farla dall'alto piombare, il
nemico iniziava la sua ritirata che mari mano si tramutava in fuga caotica e
disordinala. E così nell'accelerazione della fuga si accelerava la rovina
degli ultimi resti dell'esercito imperiale. Del Negus nessuna notizia.
Lo spellacelo di questo suo esercito che armato con armi moderne e
addestralo con istruttori europei credeva di aver reso imbattibile; di
questo suo esercito che si era dimostrato di tanto effimero valore non per
il deficiente ardimento individuale, ma per la scarsa intrinseca capacità
dei capi barbari, mascherati dalla anacronistica veste civile; lo spellacelo
di questo suo esercito in fuga frantumalo più che battuto, doveva forse, in
quel momento, farlo pensare alla caducità del suo impero fittizio. 6 aprile
1936-XIV.
IL MARESCIALLO D'ITALIA
PIETRO BADOGLIO
L'ordine del giorno alle truppe
Anche la battaglia dell'Ascianghi, dopo cinque giorni di accanite lotte, è
stata vinta, come le altre, nel nome del RE, per virtù di capi e di gregari.
La vittoria è dovuta allo spirito nuovo che anima la nostra gente, allo
spirito che il DUCE ha infuso nella gioventù e che sul campo di battaglia si
è affermato in inflessibile volontà e in indomito valore.
La mia ammirazione e il mio elogio di comandante non si arrestano ai capi ed
alle truppe, ma si rivolgono alla Nazione tutta, inspirata e sorretla
dall'idea fascista. Enda Jesus, 6 aprile 1936-XIV.
IL MARESCIALLO D'ITALIA
PIETRO BADOGLIO
Pietro Badoglio