Storia dei Reparti

 

 

Servizio Veterinario

 

 

 

 

 

 

La riorganizzazione del corpo dopo la 1a Guerra Mondiale

 

Terminato il conflitto mondiale, si inizia la smobilitazione dell'Esercito. Nel Corpo Veterinario Militare l'avvio alla normalizzazione del proprio apparato enormemente ingigantito dalle ineluttabili esigenze belliche, procede con molta lentezza, suscitando il comprensibile e giusto risentimento di quanti, dopo anni di vita militare, debbono reinserirsi nell'attività professionale civile. Solo verso la fine del 1919 il Corpo Veterinario Militare ha il nuovo organico di pace così composto: 1 colonnello, 6 tenenti colonnelli, 18 maggiori, 70 capitani, 109 subalterni.
Alla euforia conseguente la vittoriosa conclusione dell'immane conflitto, subentra anche nel Corpo Veterinario Militare, un notevole senso di disagio morale e materiale reso ancor più acuto da alcuni avventati provvedimenti del Ministero della Guerra assillato, ora più che mai, da drastiche riduzioni al proprio bilancio. Per contenere le spese e rinsanguare l'erario, il Ministero non trova altra soluzione che togliere agli ufficiali, compresi i veterinari, il diritto all'«indennità foraggio» di cui godevano tutti gli ufficiali ai quali, per necessità di servizio, era concesso l'uso del cavallo, indennità che bene o male veniva a mitigare le pesanti pastoie economiche nelle quali si dibattevano gli ufficiali del Corpo. Ma, ironia della sorte, pressoché contemporaneamente veniva concessa, solo agli ufficiali delle armi combattenti, una nuova «indennità cavallo», con sensibile aggravio di bilancio dato l'elevato numero degli aventi diritto. Si risparmiava così un centinaio di migliaia di lire a scapito degli ufficiali veterinari e di quelli degli altri servizi, per spendere poi alcuni milioni sotto altra voce.
Ma non solo questo amareggiava gli ufficiali del Corpo Veterinario, coinvolti anch'essi nel clima turbolento ed inquieto di quel drammatico dopoguerra, caratterizzato da atteggiamenti e decisioni del parlamento e del governo, se non proprio ostili verso gli ufficiali, per lo meno lesivi di alcuni principi morali e materiali. A ciò si aggiungevano le difficoltà di carriera, ancora attuali per gli ufficiali veterinari, i quali nella maggioranza raggiungevano i limiti di età ed il pensionamento nel grado di capitano.
Tutto questo insieme di circostanze spinse non pochi ufficiali veterinari in S.A.P. (servizio attivo permanente), nella maggior parte subalterni e capitani, a chiedere di essere collocati nella nuova posizione ausiliaria speciale (P.A.S.) o aspettativa speciale, posizione questa prevista nell'ordinamento post-bellico dell'Esercito ed intesa a favorire lo sfoltimento e la riduzione dei quadri, eccessivamente esuberanti per gli organici di pace.
Ma proprio per i veterinari militari il Ministero della Guerra ritenendoli «necessari ed utili in quanto le condizioni del servizio non lo permettono» respingeva sia le domande per la P.A.S. sia le domande di dimissioni.
La situazione divenne preoccupante per la vita stessa del Corpo, allorché tutta la categoria dei veterinari italiani insorse pressoché compatta contro quelle che reputava vere e proprie ingiustizie tendenti, seppur non intenzionalmente, ad umiliare il Corpo, chiedendo persino a tutti gli ufficiali veterinari di inoltrare in massa domanda di dimissioni.
La solidarietà di tutti i veterinari italiani non tardò a dare alcune soddisfazioni anche se parziali. Fu riconosciuto per intero il periodo del corso di laurea agli effetti della pensione (si rammenta a questo proposito che in precedenza erano valutati solo tre anni), e venne concessa l'indennità professionale parificandola a quella già percepita dagli ufficiali del servizio sanitario.
Un'altra minaccia al Corpo Veterinario Militare, ma non solo per questo, si profilò attorno al 1924 allorché l'on. Belluzzi presentò alla giunta generale del bilancio una proposta contenuta nello stato di previsione del Ministero della Guerra, tendente a trasformare radicalmente i diversi servizi dell'Esercito (medico, veterinario, commissariato, contabile) mediante la riduzione del personale attivo, la soppressione del grado militare ed il ricorso a personale civile convenzionato. La proposta non ebbe l'approvazione delle camere, e tutto rientrò nella normalità.
Con decreto ministeriale del 22 novembre 1922 l'Ufficio di Ispezione Veterinaria, che dipendeva direttamente dal segretariato generale alla guerra, organismo questi soppresso, viene fagocitato e passato alle dipendenze dell'Ispettorato Ippico retto da un generale di cavalleria. Le attribuzioni dell'ufficio del capo del Servizio Veterinario sono fissate dalla circolare n. 58 del «Giornale Militare» del 1924, che prevede «Pareri sulla mobilitazione del Corpo Veterinario Militare-Consulenza circa i provvedimenti atti a dare incremento alla produzione del cavallo e del mulo per l'Esercito-Controllo tecnico sull'esito delle rimonte-Consulenza sul funzionamento degli stabilimenti ippici militari-Igiene-Profilassi-Polizia sanitaria e giurisprudenza veterinaria — Pareri sull'alimentazione ed il miglioramento dei quadrupedi della truppa - Ispezioni igienico sanitarie ai quadrupedi del R. Esercito-Definizione dei requisiti del materiale stesso - Sovraintendenza sui lavori e sul funzionamento del dipendente laboratorio batteriologico di veterinaria militare - Statistica sanitaria-Proposte per l'assegnazione ed il trasferimento degli ufficiali veterinari-Proposte per l'esame di ammissione e l'avanzamento degli ufficiali veterinari-Consulenza tecnico legale circa le cause che determinano la perdita di cavalli di ufficiali».
A giudizio dei più diretti interessati dell'epoca, le nuove attribuzioni vengono valutate come un ulteriore apprezzamento dell'opera svolta dai veterinari militari, convalidata dalla circostanza che al capo del Servizio Veterinario è concessa la firma «d'ordine» e conseguente-mente una posizione più indipendente di prima (dal che si deduce che prima non c'era la firma).
Mentre per l'ennesima volta veniva bocciata la proposta di istituire il generale veterinario, motivando però la decisione esclusivamente con necessità di bilancio che vedevano nel contempo ridurre drasticamente gli organici nei gradi di generale, il nuovo ordinamento del R. Esercito del 1924 apportava un effettivo e notevole miglioramento agli organici dei veterinari militari soprattutto nei gradi di tenente colonnello, maggiore e capitano, passati rispettivamente da 6 a 13, da 18 a 25, da 70 a 76, anche se viene ridimensionato il numero dei tenenti fissato ora a 59. Complessivamente quindi: 1 colonnello, 13 tenenti colonnelli, 25 maggiori, 76 capitani, 59 tenenti. Con il decreto dell'8 novembre 1928 concernente i provvedimenti per la carriera degli ufficiali inferiori di fanteria e cavalleria e degli ufficiali del Corpo Veterinario, vengono previsti, oltre al colonnello capo del corpo, altri tre colonnelli con il compito di ispettori di zona veterinaria militare. L'organico del corpo è ora il seguente: 4 colonnelli, 16 tenenti colonnelli, 30 maggiori, 88 capitani, 56 subalterni. Verso la fine del 1924 riprendono i corsi per il reclutamento dei sottotenenti di complemento del Corpo Veterinario Militare, interrotti da oltre dieci anni. Il Ministro della Guerra dispone che i giovani non presentati alle armi e muniti di laurea in zooiatria, dovranno d'ora in poi compiere un periodo d'istruzione militare di tre mesi (con inizio 1° dicembre 1924) presso due reggimenti di cavalleria: il reggimento cavalleggeri Vittorio Emanuele II (Brescia) ed il reggimento Piemonte Reale Cavalleria (Roma). Presso quest'ultimo saranno ammessi soltanto i giovani con statura minima di m. 1,70. Gli allievi, ultimato il corso, subiranno le prove di idoneità per il grado di caporale e, se promossi, passeranno ad un corso d'istruzione tecnico professionale della durata di tre mesi (inizio 1° marzo 1925) presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo, ultimato il quale, dopo il risultato favorevole di prove d'esame, saranno promossi sottotenenti di complemento per compiere sotto le armi gli obblighi di leva per un periodo non inferiore a tre mesi. Norme speciali sono dettate anche per i militari laureati già sotto le armi, per quelli che rivestono i gradi di caporale e sottufficiale e per quelli che non superano con esito favorevole le prove dopo il corso di istruzione militare e quello tecnico-professionale.
Pertanto nel marzo del 1925 ritornano a Pinerolo gli allievi ufficiali veterinari di complemento, perpetuando così una tradizione iniziatasi trent'anni prima. L'anno dopo il corso allievi ufficiali verrà svolto integralmente presso la Scuola di Pinerolo.
All'indomani della fine delle ostilità in Europa, si erano riaccesi sul territorio libico i focolai di ribellione, mai sopiti, e che avevano acquistato nuovo vigore, approfittando dell'impegno italiano nel conflitto mondiale che aveva polarizzato gli sforzi, assorbendo e distogliendo, dal continente africano, molte risorse umane e materiali, per inviarle sui fronti continentali. Si videro così vanificati, in breve volgere di tempo, gli sforzi e tanti sacrifici sopportati con la guerra italo-turca del 1911-12 e con le successive operazioni di consolidamento e pacificazione, tanto che l'occupazione della colonia libica si era ristretta alle sole zone costiere.
Già nel 1919 vennero inviati in Libia i primi rinforzi costituiti da reparti organici nazionali ed indigeni provenienti quest'ultimi in massima parte dall'Eritrea, mentre il Governo tentava di risolvere la grave situazione mediante intese con i capi dei ribelli. Risultati vani i negoziati, si iniziarono nel 1922 le operazioni militari dopo nuovi apporti di truppe nazionali ed indigene. Per circa un decennio gli ufficiali veterinari dei Corpi Coloniali della Tripolitania e della Cirenaica furono direttamente impiegati nelle operazioni militari al seguito delle molteplici colonne mobili, costituite da reparti celeri dotati di grande autonomia, velocità di movimento, decisa aggressività e montati sui veloci mehara (dromedari da corsa), animali questi risultati preziosi ed insostituibili per le loro peculiari doti di sobrietà e resistenza, nell'affrontar e le ampie distese di sabbia e la rude esperienza del deserto.
Anche gli ufficiali veterinari, già abili cavalieri, affrontano con disinvoltura la nuova cavalcatura inforcando la dura sella «Ralha», e formano dei drappelli veterinari cammellati, indossando il tipico equipaggiamento adatto alla circostanza.
Sarebbe impossibile riportare, come meriterebbero, gli innumerevoli episodi che videro la figura dell'ufficiale veterinario erigersi a protagonista, ma citeremo per tutti quel giovane tenente, da poco sbarcato in Tripolitania, che seguì, passo per passo, per oltre 5.000 Km, percorsi tutti sul dorso del cammello, i gruppi Sahariani comandati dall'allora ten. col. Amedeo di Savoia Aosta, che in pieno deserto, fra disagi ed insidie di ogni sorta, approntò un ricovero di fortuna per circa 300 cammelli, ridotti ormai allo stremo, ricoperti di rogna, cachettici, in preda a carenze alimentari, e nel volgere di tre mesi li restituì tutti ai reparti completamente guariti e ristabiliti, non disdegnando di ricorrere anche ai sotterfugi della terapia araba per la cura della rogna e ad ingegnose astuzie per integrare la scarsa e carente razione giornaliera. L'iniziativa, il coraggio e la solida preparazione professionale del tenentino veterinario furono determinanti per l'esito positivo dell'operazione militare, che sembrava ormai compromessa dalla inefficienza del più valido mezzo di trasporto nel deserto. È inutile aggiungere che l'ufficiale veterinario divenne il più prezioso collaboratore del giovane Duca d'Aosta, che lo volle sempre con sé in tutte le altre vicissitudini belliche.
Il Corpo Veterinario Militare continua frattanto in patria l'incessante attività presso i singoli reparti, presso i centri di riproduzione, di allevamento e raccolta quadrupedi, contribuendo validamente ad alleviare la endemica penuria italiana di cavalli e muli, ancora fattori indispensabili all'efficienza dell'Esercito. A ciò va aggiunta l'attività zootecnica, specie nei territori d'oltremare, che arrecò notevoli benefici alle popolazioni locali, e l'attività scientifica irradiata dai Labora-tori ed Istituti del Corpo, veri e propri centri di cultura, di ricerca e di studi.
Nella compagine dell'Esercito i veterinari militari assolvono quindi a funzioni d'ordine igienico, sanitario e zootecnico a mezzo dei loro organi direttivi ed esecutivi, centrali e periferici. Al centro il colonnello capo del Corpo e del Servizio, alla periferia i colonnelli ispettori di zona veterinaria, i capi ufficio di veterinaria di armata, di corpo d'armata e di divisione, tutti ufficiali superiori: questi gli organi direttivi. Gli ufficiali veterinari inferiori e subalterni (capitani, tenenti, sottotenenti) impersonano gli organi esecutivi presso i reggimenti, gli altri reparti organici, le scuole, i centri rifornimento quadrupedi ecc. A questa struttura organizzativa si aggiungono i Laboratori veterinari militari: quello batteriologico di Roma, specializzato nella produzione di sostanze diagnostiche e immunizzanti, nonché centro di ricerche e studi per l'accertamento delle malattie infettive degli equini e di nuovi ritrovati alimentari ad alto potere energetico per integrare l'alimentazione da somministrare ai quadrupedi; quello di Bologna deputato alla produzione di siero antitetanico, per uso umano e veterinario, e centro di studi ed indagini sperimentali riguardanti il tetano ed altre malattie ed infine gli istituti siero vaccinogeni dell'Eritrea e della Somalia, con sede rispettivamente ad Asmara e Merca, che sotto la direzione degli ufficiali veterinari tanto merito ebbero nella difesa del patrimonio zootecnico locale, riuscendo a debellare uno dei flagelli più temuti per il bestiame, la peste bovina. Più delle frasi valgono alcuni dati statistici assai significativi: nel 1924 la capacità produttiva del siero antipestoso superò le 1.000 dosi giornaliere con l'impiego di circa 600 bovini siero-produttori. Ciò contribuì in maniera determinante allo sviluppo del patrimonio bovino locale, consentendo, nel volgere di pochi anni, di raddoppiare la consistenza che toccò i 750.000 capi. Nel contesto di queste encomiabili istituzioni, meritano una particolare menzione, come già accennato, gli studi e le ricerche dell'allora maggiore Malvicini, valente esperto in bromatologia animale, che nel 1930 diede l'avvio ad importanti sperimentazioni, sfociate, negli anni successivi, nella attivazione di una efficiente industria per la preparazione di mangimi concentrati, che poneva il Servizio Veterinario Militare all'avanguardia di questo settore e antesignano della moderna mangimistica. Una nuova edizione delle «Norme generali sull'organizzazione ed il funzionamento dei servizi in guerra» è pubblicata nel 1932 e sostituisce il precedente atto risalente al 1915.
Ampio spazio viene dato nel capo X al Servizio di Veterinaria i cui compiti spaziano dalla vigilanza sulle condizioni sanitarie dei quadrupedi, alla cura, allo sgombero ed al recupero dei quadrupedi malati e feriti, all'accertamento della buona qualità della carne e dei foraggi, al rifornimento dei materiali di veterinaria e mascalcia. Per l'attuazione delle molteplici incombenze il servizio dispone, presso le varie grandi unità e presso i corpi e reparti, di organi direttivi ed esecutivi, come indicato dallo specchio che viene integralmente riportato.
 

Comando od unità

Organi

 

Coordinatori

Direttivi

Esecutivi

Comando Supremo

 

 

 

 

Intendente generale

 

 

 

 

Direzione superiore

di veterinaria

 

 

 

Direzione del deposito centrale carreggio,

bardature e mascalcia (a)

 

Direzioni delle infermerie quadrupedi

Direzioni delle infermerie specializzate per

malattie infettivo- contagiose

Armata

 

 

 

 

 

Intendente di Armata

 

 

 

 

Direzione di veterinaria

di Armata

 

 

 

Direzioni dei convalescenziari per quadru-

pedi(b)

Direzione del magazzino di veterinaria e di

mascalcia d'Armata

Direzione del deposito centrale di sanità e

di veterinaria d'Armata (e)

Corpo d'Armata

 

 

Comandante del Corpo

d'Armata

 

Direzione di Veterinaria

di Corpo d'Armata

Direzioni delle infermerie temporanee qua-

drupedi (b)

Direzioni delle infermerie quadrupedi

 

Div. di Fanteria e celere

Comandante della Divisione

Ufficio di veterinaria

divisionale

Direzione  delle  infermerie  temporanee

quadrupedi (b)

 

Corpi e repartarti

 

Comandante di corpo

o reparto

Dirigente il servizio

veterinario

Ufficiali veterinari; maniscalchi

Direzioni delle infermerie temporanee qua-

drupedi (b)

(a) È organo del servizio dei trasporti e delle tappe; interessa il servizio di veterinaria quale organo di rifornimento dei materiali di mascalcia.
(b) Eventuali.
(e) È organo esecutivo del servizio di sanità; interessa il servizio di veterinaria quale organo di rifornimento
per i materiali di veterinaria.

 

Gli organi direttivi devono presiedere all'organizzazione e al funzionamento del servizio nella zona assegnata all'unità, emanano direttive per l'igiene e la profilassi e vigilano sulla loro attuazione, mantenendosi in contatto con le competenti autorità civili per prevenire e circoscrivere le epizoozie che dovessero insorgere tra i quadrupedi della popolazione civile. Propongono all'organo coordinatore dal quale dipendono, eventuali varianti alla composizione della razione foraggi, in relazione alle condizioni di vita e di lavoro dei quadrupedi ed alla disponibilità degli elementi costitutivi della razione. È compito degli organi direttivi organizzare e dirigere la raccolta dei quadrupedi malati e feriti e la loro cura presso gli stabilimenti direttamente dipendenti. Anche le proposte delle norme per la riforma e l'abbattimento dei quadrupedi non più idonei al servizio, e così pure quelle per il passaggio di reparto, sono di competenza degli organi direttivi che rappresentano anche tempestivamente al comando delle unità alle quali sono addetti, l'eventuale necessità di impiantare infermerie temporanee e stabilimenti specializzati. Sono inoltre di pertinenza degli organi direttivi il rifornimento di materiali di veterinaria e di mascalcia, l'inoltro delle richieste per il rifornimento, l'inoltro delle richieste del personale occorrente per sostituzioni o nuovi impianti, le proposte ed il relativo parere sull'assegnazione di ufficiali veterinari alle cariche più importanti, gli accertamenti della qualità della carne e dei foraggi da distribuire alle truppe ed ai quadrupedi.
Al servizio di igiene e profilassi nella zona dell'esercito operante, da estendersi, quando sia necessario, anche ai quadrupedi della popolazione civile, provvedono gli ufficiali veterinari ed i veterinari civili della zona, col concorso di squadre tosatori delle infermerie quadrupedi e del laboratorio chimico-batteriologico tossicologico della dire-zione di sanità d'Armata.
In caso di epidemie tra i quadrupedi, i direttori di veterinaria adibiscono al ricovero ed all'isolamento un certo numero di infermerie da specializzarsi per malattie infettivo-contagiose. Giornalmente, in ore da stabilirsi dai comandi, i quadrupedi malati o feriti vengono visitati dall'ufficiale veterinario. Per i corpi sprovvisti si provvede o con l'inviare i quadrupedi presso il più vicino corpo che ne sia provvisto o con l'inviare il veterinario presso i corpi. L'ufficiale veterinario determina quali quadrupedi debbano essere curati presso i corpi, quali debbano essere inviati alle infermerie, quali debbano essere abbattuti. Generalmente sono curati presso i corpi i quadrupedi ammalati o feriti leggeri. I solipedi abbisegnevoli di speciali cure possono essere riuniti in infermerie temporanee impiantate presso alcuni corpi.
Tali infermerie cessano di funzionare quando il corpo che le ha impiantate riprende il movimento: i quadrupedi che vi sono ricoverati o rientrano ai loro reparti o sono spostati nelle infermerie di Corpo d'armata o d'Armata, a seconda delle loro condizioni. I solipedi affetti da malattie o ferite che richiedano lungo periodo di cura e quelli affetti da malattie epidemico-contagiose sono temporaneamente sgombrati dai corpi e dalle infermerie e portati nelle infermerie quadrupedi di Corpo d'armata e di Armata a mezzo dei carri biga delle infermerie e degli autocarri attrezzati. Le infermerie di Corpo d'armata e d'Armata si impiantano in numero adeguato alle necessità del ricovero dei quadrupedi ammalati o feriti, a portata delle truppe onde evitare ai quadrupedi ammalati percorsi troppo lunghi. La dislocazione delle infermerie dovrà essere tale da non creare ingombro.
Nel caso di malattie epidemico-contagiose dovranno essere istituite alcune infermerie in località che ne favoriscano l'isolamento.
Per i quadrupedi dimessi dalle infermerie ma non ancora in grado di prestare servizio e per quelli deperiti, potranno essere impiantati convalescenziari quadrupedi.
Quando è possibile, i quadrupedi guariti sono fatti rientrare al corpo di provenienza, altrimenti sono trasferiti al parco quadrupedi, carreggio e bardature d'Armata.
Il rifornimento del materiale di veterinaria e di mascalcia alle truppe ed ai servizi di Corpo d'armata è effettuato dall'infermeria quadrupedi di Corpo d'armata, mentre per unità dipendenti dall'Armata è eseguito dalle infermerie quadrupedi designate dalla Direzione di veterinaria di Armata.
Le infermerie quadrupedi sono rifornite a loro volta dal magazzino di veterinaria e mascalcia di Armata, che riceve i rifornimenti di materiale veterinario dal deposito centrale di sanità e di veterinaria di Armata e di materiale di mascalcia, di massima, dagli stabilimenti territoriali ed eccezionalmente, dal deposito centrale carreggio, bardature e mascalcia.
Al parere dell'ufficiale veterinario, è lasciato il giudizio sulla commestibilità o meno delle carni dei quadrupedi abbattuti in conseguenza di malattie e di ferite.
Nella zona dell'esercito operante, a cura della Direzione di veterinaria d'Armata, possono essere installati digestori per la utilizzazione delle carogne dei quadrupedi.

 

Il corpo veterinario militare dalla campagna d'Etiopia alla vigilia della 2a Guerra Mondiale

 

Benché i progressi tecnologici e le nuove dottrine belliche imponessero la sostituzione del traino animale con quello meccanico e l'impiego dei nuovi mezzi corazzati al posto della cavalleria, il ruolo dei veterinari militari non diminuisce affatto d'importanza, tanto è vero che nel 1934 l'organico del Corpo viene nuovamente allargato in quasi tutti i gradi. I colonnelli passano da 4 a 6 di cui uno assegnato alla Scuola Allievi Ufficiali di complemento, i tenenti colonnelli da 16 a 18, i maggiori da 30 a 37, i tenenti da da 50 a 60; solo una lieve flessione per i capitani ridotti da 78 a 60.
Nel 1935 l'Italia si appresta ad una nuova impresa africana, la conquista dell'Etiopia. Al canto di «Faccetta nera» partono alla volta del continente africano le truppe italiane, e con esse i mezzi ed i materiali occorrenti all'immane sforzo.
L'asprezza del territorio, la mancanza assoluta di strade, la enorme distanza della madrepatria (oltre 6.000 km.) non fanno certo prevedere una soluzione a breve termine del conflitto, anzi i più quotati osservatori stranieri profetizzano una inevitabile catastrofe per la spedizione italiana.
Si profilano subito, sin dalla fase di preparazione, enormi problemi di rifornimento e movimento delle truppe operanti, il cui successo dipende strettamente da un supporto logistico enorme ed imprevedibile, imperniato sull'uso dei quadrupedi.
Il Corpo Veterinario Militare è al centro dell'attenzione ed ha l'incarico di studiare e risolvere molti problemi di capitale importanza per l'esito della campagna. La fiducia accordata è pienamente riposta. Oltre un centinaio sono gli ufficiali veterinari direttamente impiegati nell'impresa etiopica, e fra questi molti i giovani tenenti e sottotenenti di complemento.
La compagine del servizio veterinario militare è un modello di organizzazione sia nella fase preparatoria che in quella operativa. Viene istituito un organismo coordinatore di tutti i servizi, l'Intendenza Africa Orientale che riunisce in sé le diverse direzioni d'intendenza, fra cui quella di veterinaria retta dal ten. col. dott. G. Conti. Spetta alla direzione veterinaria d'intendenza sovrintendere presso la base di Massaua a tutte le operazioni di sbarco dei quadrupedi, assisterli, convogliarli poi nelle diverse direzioni presso i reparti, e ancora assicurare i collaudi e la conservazione degli imponenti quantitativi di derrate alimentari di origine animale (dell'ordine di centinaia di migliaia di quintali) destinate alle truppe, e dei mangimi occorrenti ai quadrupedi. In stretta collaborazione con l'Ufficio Veterinario delle truppe coloniali dell'Eritrea, la direzione veterinaria d'intendenza provvede a reperire in loco altri quadrupedi certamente più resistenti e soprattutto acclimatati. Nella sola fase preparatoria della campagna sono acquistati sul territorio eritreo ben 7.000 muletti, 900 cammelli, 500 cavalli e 2.000 asinelli, utilissimi quest'ultimi nei servizi cosiddetti a piccolo raggio. Si calcola che il totale dei quadrupedi impiegati nei cicli operativi raggiungesse la cifra di 90.000 unità, di cui 82.000 trasportati oltremare. Presso i reparti combattenti il servizio veterinario militare è presente nei quattro Corpi d'armata nazionali e nel Corpo d'armata eritreo con le diverse articolazioni fino ai reparti minori. Analoga struttura organizzativa si sviluppava poi nello scacchiere sud presso il Comando Forze Armate della Somalia, dove viene istituita la direzione veterinaria retta dal ten. col. Caramanna ed incorporata nella Delegazione d'intendenza.

Enorme è l'impegno e l'attività svolta dal servizio veterinario, valutato nella sua globalità, e preziosissimo l'apporto dei centri vaccinogeni dell'Asmara e di Merca considerati, a giusta ragione, fra i migliori del mondo.
Tutta una rete di infermerie quadrupedi, di speciali sezioni (dermatosari), di convalescenziari, di parchi speciali, viene dislocata lungo le grandi direttrici di marcia. A questa imponente organizzazione primaria, si deve aggiungere quanto viene fatto, per iniziativa personale dagli ufficiali veterinari distaccati presso i reparti combattenti nelle zone avanzate, impegnati quotidianamente alla soluzione di problemi contingenti che richiedono, oltre ad una salda preparazione professionale, non comuni doti di coraggio e prontezza decisionale. Sintetizzano tutto l'impegno profuso dai veterinari militari nell'assolvimento del loro dovere, la motivazione dell'encomio solenne tributato al Corpo a conclusione dell'impresa Etiopica ed il messaggio indirizzato al Corpo dal Maresciallo Badoglio, già comandante supremo di tutte le truppe in Africa Orientale.

Encomio solenne

«In terra d'Africa, nell'applicarsi con assoluta dedizione alla cura dei mezzi animali di trasporto, che la rapida avanzata su impervi territori rendeva ogni giorno più preziosi, ha confermato le sue tradizioni di perizia»

Messaggio del Maresciallo Badoglio

II continuo estendersi della motorizzazione non toglie davvero importanza ai quadrupedi, specie per un esercito, come il nostro, il quale ha, nel territorio della madre-patria e dell'Impero, imponenti, aspre catene montane. Perciò molto affidamento deve farsi all'opera assidua e benemerita del Corpo veterinario affinché i mezzi animali di trasporto rispondano sempre, per numero e qualità, ad ogni possibile esigenza operativa, là dove i mezzi a motore rendano meno o non possano rendere affatto.
La guerra d'Etiopia ha dimostrato all'evidenza il prezioso valore dei mezzi a soma in regioni impervie ed essi hanno certo largamente contribuito al successo, consentendo ai servizi di funzionare quando ancora mancava la possibilità agli automezzi di procedere, né era conveniente o possibile far ricorso ad aerei.

Così essi hanno indubbiamente contribuito a rendere rapida la nostra avanzata durante molte battaglie e particolarmente in quella dell'Ascianghi.
Al Corpo veterinario si deve riconoscere il merito di aver saputo con le sue preveggenti e sagge cure mantenere in efficienza l'ingente massa di quadrupedi delle truppe operanti in Etiopia, e ciò nonostante le mille difficoltà opposte dai luoghi, dal clima, dalle situazioni, così come non era mai avvenuto in guerre precedenti. Tale luminosa conferma di una tradizionale perizia è una sicura promessa per l'avvenire.
E di ciò può particolarmente andare orgoglioso il Corpo veterinario nel celebrare l'annuale della sua fondazione.
Dopo la conclusione rapida e vittoriosa della guerra etiopica, si determinò, nell'alto comando dell'Esercito un nuovo orientamento nel campo strategico e tattico sotto l'influsso della politica esaltatrice del momento. L'esperienza della guerra africana, introduceva nuovi concetti sulla «guerra di movimento» spingendosi verso forme ancor più dinamiche, sintetizzate nell'espressione «guerra di rapido corso». Si imponeva quindi nel campo organico l'adozione di grandi unità più agili e più manovrabili, con funzioni di comando più semplificate. Dopo approfonditi studi ed ampie consultazioni, promosse dall'allora Segretario di Stato alla guerra e Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Generale Pariani, si giunse alla determinazione di trasformare la divisione di fanteria da ternaria (basata su tre reggimenti di fanteria) in binaria (due reggimenti di fanteria), rendendola così più agile e incidendo sulla articolazione della massa ai fini della manovra. Con il R.D. n. 2095 del 22-12-1938, tappa importante nella evoluzione organizzativa dell'Esercito italiano, si diede attuazione alle proposte sopra enunciate ed alla costituzione di nuovi Corpi d'armata e di nuove divisioni. Questa impostazione aumentava conseguentemente tutti i servizi dell'esercito, fra cui quello veterinario che vedeva un ulteriore ampliamento dei propri organici in tutti i gradi della scala gerarchica. L'ordinamento del Corpo Veterinario Militare nel 1939 comprendeva: 8 colonnelli, 24 tenenti colonnelli, 48 maggiori, 77 capitani e 77 tenenti.
Ma l'ambizioso programma di rinnovamento dell'esercito, non andò molto oltre l'aumento del numero dei corpi d'armata e delle divisioni, mentre rimasero pressoché inalterati gli armamenti e non si attuò come era nelle previsioni la motorizzazione dei gruppi ippotrainati, di quelli someggiati e dei reparti munizioni e viveri dei reggimenti di artiglieria divisionale.
Nel tardo autunno del 1936, appena terminato il conflitto etiopico, le forze armate italiane si trovano ad affrontare un'altra impegnativa prova in terra di Spagna. Anche se la partecipazione al conflitto venne coperta dal volontariato (tanto che i militari inviati in quel territorio, almeno nei primi mesi, raggiungevano la Spagna vestiti in borghese) non poche furono le pressioni esercitate specialmente sugli ufficiali per indurii a prender parte al conflitto. La partecipazione italiana fu, all'inizio, modesta, poi si fece sempre più massiccia, fino a comprendere interi reparti organici dell'Esercito. Ma oltre all'Italia, tutte le grandi nazioni d'Europa, più o meno interessate all'avvenire politico della Spagna, parteciparono direttamente o indirettamente al conflitto, alcune con le armi, pressoché tutte con il denaro o con l'appoggio morale e diplomatico.
Le prime truppe italiane giunte in territorio iberico vennero mascherate sotto la denominazione Missione Militare Italiana in Spagna (M.M.I.S.) che mutò, nel febbraio del 1937 in Corpo Truppe Volontarie (C.T.V.). Fra i vari servizi del C.T.V. anche quello veterinario presente nelle divisioni di fanteria, nella divisione alpina «Penne nere», nei reparti autonomi salmerie, negli squadroni di cavalleria, nelle brigate miste «Freccie azzurre» «Freccie Nere» e «Freccie Verdi» così chiamate poiché composte da truppe italiane e spagnole. Numerosi gli episodi di valore e abnegazione compiuti dagli ufficiali veterinari, e molti i decorati al valore.
Nel giugno del 1938, in concomitanza con la ricorrenza della fondazione del Corpo Veterinario Militare esce il primo numero della «Rivista Militare di Medicina Veterinaria» edita dal comando del Corpo e che si ricollega idealmente raccogliendone l'eredità tecnico-scientifica, a due riviste «Giornale di Ippologia» e «Giornale di Veterinaria Militare», che tanti lusinghieri consensi riscossero, e non solo nell'ambito militare, per il contributo all'evoluzione ed alle conoscenze scientifiche negli anni precedenti la fine del XIX secolo. L'avvenimento viene salutato con calorose espressioni di adesioni e plauso da tutto il mondo scientifico veterinario e dall'intera categoria.
Lo scoppio del secondo conflitto mondiale trovò l'esercito in piena fase organizzativa, con armamento in massima parte antiquato, con scorte depauperate dalla recente campagna etiopica e dall'intervento in Spagna e dalla pur brevissima occupazione dell'Albania. Alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia il Corpo Veterinario Militare si presenta in tutta la sua compattezza ed efficienza. Probabilmente è uno dei pochi, se non l'unico servizio, a non risentire eccessivamente della grave situazione determinata dalla penuria di armamenti e mezzi. La presenza nella compagine dell'esercito di un alto numero di quadrupedi ancora indispensabili negli oltre 50 reggimenti di artiglieria divisionale, nei dodici reggimenti di cavalleria, nelle divisioni alpine, nei reggimenti di fanteria e genio, impone agli ufficiali veterinari un duro incessante lavoro reso ancor più gravoso dalle esigenze di rapidi spostamenti in sintonia con le concezioni tattiche e strategiche della guerra di movimento. Per sopperire alla penuria di foraggi e di avena, in massima parte importata dall'estero, già da alcuni anni erano stati realizzati dei mangimi concentrati di varia composizione quali l'«Energon», mangime complesso e bilanciato, melassato a caldo, il «Sintetico» utilizzante solo sottoprodotti delle industrie alimentari umane, il «Complesso composito» concentrato di fieno e paglia mangiativa; tutti prodotti in due grossi stabilimenti militari ubicati a Casaralta e a Maddaloni (CE), sotto la consulenza tecnica di un gruppo di valenti ufficiali veterinari e con l'ausilio della sezione bromatologica del Laboratorio batteriologico veterinario militare, dotato di un'efficientissimo gabinetto per analisi chimico bromato-logiche e di una sala campionaria comprendente, oltre a piante foraggere, i semi, i frutti e i cascami agricoli ed industriali impiegati nell'alimentazione del bestiame. L'impegno degli ufficiali veterinari non si limita a seguire la preparazione e la produzione dei mangimi, ma si estende anche alla progettazione del macchinario necessario, sempre sotto la feconda guida e la sagace iniziativa del Malvicini.
 

La seconda guerra mondiale

 

Il 10 giugno 1940 è di nuovo la guerra, ed i veterinari sono chiamati a compiere il loro dovere con le stellette.
Le ostilità iniziano con il breve ciclo operativo del fronte occidentale al quale partecipano 130 ufficiali veterinari che devono assistere i 35.000 quadrupedi dei reparti combattenti e delle salmerie. Ma ben presto prove molto più impegnative e drammatiche attendono i veterinari militari allorché si apre, alla fine di ottobre del 1940 il fronte greco albanese.
La faciloneria e la superficialità dei capi del regime aveva valutato «utile e facile» l'operazione militare contro la Grecia, non tenendo alcun conto delle caute e prudenti considerazioni dei comandanti militari e del suggerimento dello stesso alleato germanico «di evitare qualsiasi gesto che non fosse di assoluta utilità». Fu invece una guerra durissima, durata oltre sei mesi, combattuta in zone montagnose impervie, in una stagione terribilmente fredda, lungo un fronte di 250 chilometri.
Il mulo tornò ad essere il grande protagonista del momento (come già lo fu nella prima guerra mondiale) e da lui dipesero la sopravvivenza e la capacità combattiva dei reparti sulla linea del fuoco. Tutto fu trasportato sul basto del mulo, dai viveri alle munizioni, dalla posta ai pochi generi di conforto che raramente giungevano dall'Italia. Sugli impervi sentieri di montagna trasformati in torrenti di fango, passarono in un incessante andirivieni i muli delle salmerie con i loro pesanti fardelli carichi anche di speranza allorché trasportavano i feriti ed i congelati provenienti dalla prima linea. Il mulo, il conducente e l'ufficiale veterinario diventano i primi attori in questo drammatico e allucinante palcoscenico di guerra, magistralmente descritto dalla fervida penna del medico scrittore Giulio Bedeschi. Fu un lavoro incessante, durissimo, oscuro e spesso addirittura commovente e la ricompensa più ambita venne dall'incondizionata ammirazione, dalla riconoscenza e dalla stima di tutti i soldati e principalmente degli alpini. E non è poco.
Ben 160 furono gli ufficiali veterinari dislocati in Albania ed impegnati direttamente al fronte o nelle diverse infermerie quadrupedi divisionali approntate con mezzi di fortuna a ridosso del fronte, o nei più discosti centri di raccolta, veri e propri ospedali dove molti preziosissimi e pazienti muli poterono essere salvati e riutilizzati. Ma allorché cessarono le ostilità con la Grecia, il contributo dei veterinari militari continuò, rivolto anche al patrimonio zootecnico greco, insidiato da gravi forme infettive ed infestive che stavano dilagando in tutto il territorio ellenico. Un consistente aiuto fu fornito ai veterinari greci soprattutto in vaccini, sieri, medicamenti, presidi diagnostici, consentendo così di contenere e combattere un flagello che altrimenti avrebbe reso ancor più preoccupante la già grave situazione economica di quel paese.
Non era ancora spenta l'eco delle cannonate sul fronte greco che si apriva un nuovo scacchiere di guerra nei Balcani. Il 6 aprile 1941, pochi giorni prima della Pasqua, le truppe italiane attraversavano il confine yugoslavo a nord e a sud, mentre le truppe tedesche ed alcuni contingenti romeni, bulgari ed ungheresi, avanzavano dalla Stiria, dalla Carinzia, dalla Romania, dalla Bulgaria e dalla Ungheria.
Stretto da ogni lato e sotto l'urto combinato delle armate italo tedesche, l'esercito yugoslavo, dopo breve resistenza, capitolava dissolvendosi.
L'esercito italiano occupava la Slovenia, la Croazia, la Dalmazia ed il Montenegro. Dopo un breve periodo di relativa tranquillità, iniziavano nell'estate del 1941 le azioni di guerriglia prima limitate, poi sempre più aggressive e sanguinose, condotte con una determinazione ed una ferocia che non ebbero riscontro nel resto dell'Europa. Fu uno stillicidio continuo e logorante, in un ginepraio di odii nazionali, ideologici, religiosi, in una guerra di tutti contro tutti. In questo clima di continua tensione, che attanaglia ed angoscia, sono chiamati ad operare anche gli ufficiali veterinari.
Nei territori occupati vengono approntate 9 infermerie quadrupedi e numerose sezioni staccate per accogliere i cavalli ed i muli bisognosi di cure.
L'asprezza del territorio impone ancora l'utilizzo dei muli e dei cavalli per sopperire a tutte le necessità della guerra. Si ripete quindi quanto già accaduto in Albania. Gli ufficiali veterinari devono seguire i reparti nelle grandi operazioni di rastrellamento o le colonne di salmerie, che il più delle volte sono gli unici mezzi di collegamento con i reparti che presidiano questo insidioso territorio. Da ufficiali dei servizi, i veterinari si trasformano a volte in comandanti di reparto combattente, allorché cadono gli ufficiali d'arma, e da veterinari in medici per soccorrere e curare i feriti. Innumerevoli gli episodi di abnegazione, di sacrificio, di valore noti ed ignoti, dei nostri valorosi colleghi, coronati da una medaglia d'oro alla memoria.
Lo scoppio del conflitto fra la Germania e la Russia, coinvolgeva pure l'Italia che inviava, nel luglio del 1941, un Corpo di Spedizione (C.S.I.R.) organizzato in Corpo d'Armata e comprendente fra l'altro due divisioni di fanteria autotrasportabile, la «Torino» e la «Pasubio» e la 3° divisione celere «Principe Amedeo» con un totale di 4.600 quadrupedi, e pure questa volta contro il parere dello Stato Maggiore che giudicava tale impegno troppo dispendioso e troppo dispersivo per le nostre provate forze armate, ormai coinvolte su vasti e lontani scacchieri operativi in contrasto con ogni più elementare principio di economia di guerra. Ma «more solito», le ragioni politiche ebbero il sopravvento su ogni razionale concetto operativo. Fra i servizi del Corpo di Spedizione, anche quello di Ippica e Veterinaria (Ufficio di Ippica e Veterinaria) incorporato nell'Intendenza Speciale Est, nome questo subito dopo mutato in quello di Intendenza del Corpo di Spedizione Italiano in Russia. Per regolare l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi del Corpo di spedizione, venne stipulata una convenzione con le forze armate germaniche che prevedeva anche la possibilità di assistenza veterinaria, con la fornitura di medicinali veterinari, di avena e di fieno. I compiti assegnati al servizio di ippica e veterinaria dell'intendenza riguardavano il rifornimento dei quadrupedi, del carreggio, delle bardature e dei finimenti, la provvista dei materiali di veterinaria e mascalcia, la sorveglianza igienica e sanitaria sui quadrupedi, la cura, lo sgombero e il recupero dei quadrupedi ammalati o feriti, l'accertamento delle qualità alimentari delle carni e dei foraggi destinati ai consumi militari.
La complessa organizzazione del Servizio Veterinario si articolava poi secondo le direttive già fissate nel 1932, ed ampiamente riportate in altro capitolo, che prevedevano organi coordinatori, organi direttivi ed organi esecutivi.
Con la consueta solerzia il Servizio Veterinario organizza le infermerie quadrupedi ed i posti di pronto intervento, la raccolta dei mangimi e dei foraggi, e la requisizione dei cavalli russi, molto adatti per il traino a slitta, destinato a sostituire qualsiasi altro mezzo durante l'inverno.
Tra gli argomenti meritevoli di particolare menzione si ricordano le cure profilattiche impiegate in un ambiente nel quale erano generalmente diffuse la morva, il carbonchio, la rabbia, la rogna, l'erpete e la pediculosi, malattie infettive ed infestive facili da contrarre in periodo di operazioni. Nel mese di marzo del 1942 si verificarono i primi casi di rogna, fortunatamente isolati e curati presso i vari reparti nei casi più benigni, mentre i più gravi vennero ricoverati presso la 17a Infermeria quadrupedi che fungeva pure da convalescenziario e da infermeria di riserva per tutto il Corpo di spedizione. L'immediata adozione di tutte le misure profilattiche e curative limitò il fenomeno a 47 casi curati presso i reparti e a 23 ricoveri all'infer-meria. Ancora nel mese di marzo del '42 fu effettuata la reazione malleinica per accertare l'eventuale presenza dell'infezione morbosa. I casi positivi furono 14, tutti riscontrati nel Reggimento «Savoia Cavalleria» e conseguentemente l'intero reggimento fu posto in quarantena, previo l'abbattimento dei cavalli risultati positivi. Notevoli preoccupazioni al Servizio Veterinario vennero dal sistema di ferratura a ghiaccio in uso nell'esercito italiano, attuato mediante l'applicazione di un ferro a ramponi fissi posteriori ed una grippa a testa anteriore, fissata mediante saldatura, in quanto non fu spedita dall'Italia, o non giunse a destinazione, la speciale sostanza usata per la saldatura. Ma l'arte di «arrangiarsi» era ben conosciuta anche dagli ufficiali veterinari che studiarono ed attuarono, con mezzi di ripiego, nuovi ferri da ghiaccio risultati egualmente efficienti ed utilissimi. Per dieci mesi il C.S.I.R. partecipò a tutte le operazioni di questo primo momento della campagna in Russia, ma fu subito evidente la grande disparità di mezzi, di materiale e di uomini fra le forze belligeranti. Già la prima offensiva invernale russa aveva scosso le baldanzose speranze dell'«Asse» di una rapida soluzione del conflitto in questo scacchiere, e soprattutto il «generale inverno» aveva fatto comprendere tutta la drammaticità della situazione. Gli italiani debbono cimentarsi anche con i rigori di un freddo inusitato, e la rigidezza del clima ucraino con temperature al di sotto dei meno quaranta, allorché il solo attraversamento di una strada, fra isba e isba, poteva provocare un congelamento. All'inizio dell'estate del 1942 il C.S.I.R. diventa XXXI corpo d'armata ed incorporato nella 8° Armata conosciuta come A.R.M.I.R. Sono fatte affluire sul fronte russo nuove divisioni e fra queste tre alpine, la «Tridentina», la «Cuneense» e la «Mia» che verranno impiegate nelle sterminate pianure del Don, con tutto il loro seguito di carriaggi e salmerie che faranno elevare il numero dei quadrupedi da 4.600 a 25.000 unità. Al seguito delle truppe alpine giungono in Russia altri ufficiali veterinari e pertanto il numero di questi, compresi quelli già appartenenti al C.S.I.R. ed alle nuove divisioni di fanteria, raggiunge la cifra di 130.
Le fasi successive della campagna di Russia sono storia nota, se n'é scritto molto in proposito, una storia assurda come assurdo fu tutto ciò che riguardò questo drammatico scacchiere operativo. Al Servizio Veterinario toccò il compito di salvare il salvabile, compito assolto a costo di innumerevoli sacrifici, di strenue sofferenze, di eroismi noti e sconosciuti. Solo 4.000 su 25.000 quadrupedi raggiunsero le zone di riordinamento. Ma il prezzo pagato dagli ufficiali veterinari per questa impresa sovrumana fu pesantissimo: 24 colleghi scomparvero inghiottiti dalla voragine della guerra. Frattanto in Patria il Servizio Veterinario Militare perfezionava la propria struttura adeguandola alle impellenti necessità belliche. Venne intensificata l'attività presso tutti i grossi stabilimenti di macellazione del bestiame e di preparazione delle carni in scatola, nei quali gli ufficiali veterinari assicuravano l'ispezione degli animali macellati, la vigilanza sulle operazioni delle conserve di carne e i relativi collaudi; si accentuava la produzione dei mangimi concentrati ormai indispensabili per l'impossibilità di acquistare dall'estero l'avena, si provvedeva con alacrità alla requisizione dai privati dei quadrupedi occorrenti ai nuovi reparti e a rimpiazzare i vuoti creatisi in quelli al fronte.
Anche l'organico degli ufficiali veterinari in S.P.E. subisce nel 1942 un ulteriore allargamento, prevedendo ora nella sua compagine 10 colonnelli, 27 tenenti colonnelli, 54 maggiori, 87 capitani, 85 tenenti. Nuovi giovani, in maggioranza sottotenenti di complemento, entrano nel servizio effettivo, portando nuova linfa di entusiasmo e vitalità, e contemporaneamente vengono promossi ad ufficiale superiore, capitani poco più che trentenni.
La Scuola allievi ufficiali di complemento funziona a ritmo serrato, mentre gli studenti di veterinaria vengono per lo più arruolati nei reggimenti di cavalleria, d'artiglieria a cavallo od ippotrainata o negli alpini. Da ricordare a questo proposito che gli studenti del III e IV anno sono riuniti in appositi reparti nelle città sedi delle facoltà di medicina veterinaria e obbligati a frequentare il corso di laurea al fine di assicurare il necessario apporto di laureati all'Esercito. Agli studenti universitari è inoltre concesso il grado di sergente, dopo un accertamento di idoneità a ricoprire tale grado. Il 15 aprile 1943 inizia il corso allievi ufficiali che si concluderà il 15 agosto dello stesso anno: sarà l'ultimo nella storia del Regio Esercito Italiano. A questo corso sono ammessi d'autorità tutti i giovani laureati con o senza abilitazione, purché idonei al servizio militare, indipendentemente dalla loro posizione di militari già sotto le armi o in attesa di compiere gli obblighi di leva Intanto, fin da giugno del 1940, ai professori universitari di ruolo delle Facoltà di Medicina Veterinaria, venne attribuito il grado di maggiore se ordinario o quello di capitano se libero docente, indipendentemente da quello precedentemente rivestito (legge 14 ottobre 1940/1633).

 

Dati uniformologici 1919-1934

 

Le uniformi dell'immediato dopoguerra rimangono pressoché immutate, conservando la semplicità di quelle usate in guerra: l'uniforme grigio verde è definitivamente adottata come unica divisa.
Verso la fine del 1918 tutti gli ufficiali indossano il nuovo cinturone di cuoio marrone con fibbia, campanelle, bottone e gancio in ottone provvisto di un solo spallaccio ed ispirato all'originale modello inglese indicato come «cinturone Sam Browne» dal nome dell'ideatore. Viene inoltre stabilita la grande uniforme di transizione, composta dalla sciarpa azzurra, dalle decorazioni metalliche e dai guanti bianchi.
Un'aliquota di ufficiali veterinari prende parte nel 1919/20 alla spedizione in Anatolia ed indossa, per l'occasione, una particolare giubba con bavero aperto, camicia bianca e cravatta lunga nera.
Nel 1923 esce il primo organico Regolamento sull'uniforme del dopoguerra che ripropone alcuni elementi decorativi, imprescindibili per conferire all'uniforme l'indispensabile decoro. Nulla di invariato per il berretto che assume però una forma più marziale ed imponente. La giubba è di tessuto di lana diagonale o cordellino grigioverde con bottoniera coperta, ha il bavero dritto di velluto nero su cui i veterinari
applicano le mostrine ad una punta di panno celeste, ed è munita di quattro tasche esterne, due superiori al petto, e due inferiori più grandi ai fianchi, chiuse da patte dritte e provviste entrambe di piegone centrale; le controspalline sono mobili e filettate di panno celeste; sulle manopole i soliti distintivi di grado ricamati in argento e al di sopra di questi il nuovo distintivo di promozione per merito di guerra per chi ne ha diritto. I pantaloni, dello stesso panno della giubba, sono guarniti lungo la cucitura esterna di una banda di seta grigio-scuro rigata al centro da un filetto celeste. Fuori servizio è concesso l'uso del pantalone lungo, anch'esso con bande, e munito di sottopiede di elastico. Completano l'uniforme, il cinturone di cuoio marrone con spallaccio, la sciabola ritornata lucida nichelata, i guanti di pelle marrone. Il nuovo regolamento fissa inoltre la grande uniforme comprendente, oltre alla sciarpa, alle decorazioni metalliche e ai guanti bianchi, particolari controspalline guarnite di un cordone di fili d'argento intrecciato a nodi di Savoia per gli ufficiali superiori, e con screziature di seta turchina per gli ufficiali inferiori, e che verranno battezzate «zeppetelle» per la loro rassomiglianza ai tipici dolcetti napoletani. Alla sciabola, pendagli in tessuto d'argento vergato di seta turchina e dragona in cordone d'oro secondo il grado e la categoria. Il Regolamento del 1923 pone fine al periodo di transizione post-bellico per quanto attiene le caratteristiche e l'uso delle varie uniformi che vengono così distinte:
— uniforme ordinaria composta da: berretto, giubba con pantalone corto, gambali o stivali con speroni, cinturone di cuoio marrone, sciabola con pendagli a dragona di cuoio, guanti di pelle marrone, cappotto o mantellina nella stagione invernale. Fuori servizio è concesso l'uso del pantalone lungo;
— uniforme di marcia che si differenzia dalla precedente per la pistola portata al cinturone e la sciabola agganciata alla sella;
— grande uniforme composta dalle particolari controspalline, dalle decorazioni metalliche, dalla sciarpa azzurra, dai pendagli alla sciabola in gallone d'argento, dalla dragona dorata, dai guanti bianchi di pelle liscia o scamosciata. Regolamentate in questo periodo pure le divise degli ufficiali del Corpo Truppe Coloniali che ricalcano a grandi linee quelle già in uso prima della guerra. Gli ufficiali veterinari dei reparti cammellati (meharisti) indossano, nei servizi montati, particolari capi di vestiario molto adatti alla circostanza: turbante al posto del berretto, sahariana in sostituzione della giubba, ampi e lunghi pantaloni stretti alla caviglia detti «sirual» e scarpette bianche da me-harista «speldri».
Nel 1926 sono stabilite nuove modifiche alla divisa degli ufficiali. Il berretto è ornato di filetti (montanti) celesti lungo le cuciture laterali, la cucitura posteriore e l'orlo inferiore; la visiera ed il soggolo diventano di cuoio nero lucido. Nel fregio, ricamato in argento, il ton-dino è ora di panno bianco con al centro ricamata in azzurro una croce. La giubba ha il bavero di velluto celeste ed i distintivi di grado sono riportati sulle controspalline. Ai pantaloni, sia corti che lunghi, bande di panno nero filettate al centro di celeste. Per la grande uniforme sono ripristinate le spalline metal-liche a frangia già in uso prima del conflitto mondiale.
Gli ufficiali veterinari vestono ora: — la grande uniforme militare composta dal berretto (elmetto sotto le armi), giubba con spalline metalliche, decorazioni, sciarpa azzurra, pantaloni corti con gambali o stivali e speroni (pantaloni lunghi fuori servizio e limitatamente alle ore pomeridiane), sciabola con pendagli d'argento e dragona dorata, guanti di pelle bianca:
— la grande uniforme da cerimonia simile alla precedente con la variante dei nastrini di decorazioni al posto delle insegne metalliche e dei pantaloni lunghi:
— l'uniforme ordinaria composta dal berretto, giubba con nastrini di decorazioni, pantaloni corti con gambali o stivali e speroni (pantaloni lunghi fuori servizio e limitatamente alle ore pomeridiane), sciabola con pendagli e dragona di cuoio nero, guanti di pelle marrone;
— l'uniforme di marcia che prevede il cinturone con pistola, la sciabola solo nei servizi a cavallo, e l'elmetto in determinate circostanze. Il 31 gennaio 1929 esce il «Regolamento sull'uniforme e istruzioni sulla divisa dei R.R. Corpi di Truppe Coloniali», che modifica le precedenti disposizioni introducendo sostanziali innovazioni. Le più importanti riguardano l'ado-zione di una giubba con bavero aperto sia nella versione invernale che estiva e conseguentemente l'uso della camicia con colletto rovesciato e della cravatta; il ripristino della grande uniforme invernale, composta degli stessi ornamenti già in uso per gli ufficiali dell'esercito metropolitano, e della grande uniforme estiva dotata di particolari controspalline in gallone d'argento e cordelline in tessuto d'argento intrecciato a fili di seta azzurra; l'istituzione della uniforme invernale da società, differenziata dal colletto della camicia bianca dritto con punte rovesciate e dalla cravatta di seta nera a nodo corto e orizzontale (farfalla), dai pantaloni lunghi con calze nere e scarpe di copale nero.
Nel 1925 vengono ripresi i corsi allievi ufficiali di complemento presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo. L'uniforme dei nuovi allievi si ispira a quella indossata dalla truppa di caval-leria, caratterizzata dal berrettone a due punte (detto a due pizzi) ornato di filettature celesti e del fregio rappresentato da una stella di lana nera, soggolo e visiera in cuoio grigio verde. Al bavero della giubba, di panno nero, mostrine ad una punta celesti e gallonano d'argento lungo tutto il bavero. Per gli allievi che iniziano il corso nella seconda metà del 1926 è adottato, quale copricapo da libera uscita e da parata, il colbacco dei cavalleggeri e vengono armati della sciabola da truppa della cavalleria, ora brunita. Poco dopo anche l'uniforme degli allievi ufficiali veterinari seguirà le modificazioni introdotte già nel 1926 alla divisa della truppa mentre il colbacco verrà ornato del fregio del Corpo Veterinario in metallo bianco e del cordone celeste.
A partire dal 1930 gli allievi ufficiali veterinari di complemento vestiranno la nuova divisa da libera uscita in tessuto di lana diagonale o cordelline grigio verde e l'uniforme interna di servizio sempre in tessuto diagonale, pressoché identiche a quelle indossate dagli allievi delle accademie militari e simile all'uniforme degli ufficiali. Unico elemento differenziale e prerogativa degli allievi ufficiali veterinari (come pure degli allievi ufficiali medici) un gallonano di seta nera al berretto identico a quello già portato dagli aspiranti ufficiali delle armi combattenti durante la guerra. Il gallonano nero verrà poi abolito nel 1933. In dettaglio l'uniforme da libera uscita degli allievi ufficiali, si componeva di: berretto alto a visiera guarnito del gallonano di seta nera ma privo dei filetti di panno celeste ai montanti ed al bordo inferiore; giubba di cordellino grigio verde identica a quella degli ufficiali con l'aggiunta del cordoncino d'argento al colletto; pantaloni corti grigio verde muniti delle bande di panno nero filettate al centro da una pistagna di panno celeste; gambali a stecca e scarponcini alti allacciati anteriormente; speroni, sciabola da cavalleria modello 71/29 di metallo brunito; pendagli e dragona di cuoio grigio verde; guanti di pelle marrone o bianchi, mantellina di panno castorino grigio azzurro. L'uniforme interna di servizio era composta dal berretto a busta a due punte, privo di soggolo e visiera, indossato anche dagli allievi delle accademie d'arma e recante il fregio a stella in lana nera; giubba simile a quella da libera uscita e differenziata in alcuni minimi dettagli; pantaloni corti privi di bande. Nel 1933 viene abolita la mantellina e adottato il cappotto di panno castorino grigio verde, senza bottoniera esterna e con ampio bavero rovesciato e da indossarsi completamente chiuso.

 

Dati uniformologici 1935-1939


Notevoli e sostanziali modifiche alle uniformi degli ufficiali sono introdotte a partire al 1° gennaio 1934. Fautore del vento innovatore è l'allora sottosegretario di Stato alla guerra gen. Baistrocchi, che aveva intrapreso una vasta opera di riforma delle forze armate italiane ispirandosi al concetto della «nazione armata» ed alla necessità di adeguare l'Esercito alle sempre più incalzanti esigenze di modernizzare le strutture e l'armamento. Le più importanti novità riguardano l'adozione dell'«uniforme nera» e dell'«uniforme bianca estiva», ma tutte le divise subiscono sostanziali varianti.
Per gli ufficiali sono di prescrizione nel 1934 l'uniforme grigio verde distinta in «ordinaria, grande uniforme, di marcia»; l'uniforme nera distinta in uniforme da visita, da sera (con e senza decorazioni), e grande uniforme; l'uniforme estiva distinta in ordinaria e grande uniforme.
I distintivi di grado, i fregi, i bottini metallici diventano per tutti d'oro (esclusi i generali ed i carabinieri).
Ed ecco in dettaglio le nuove divise: — Berretto cosiddetto piatto con visiera e soggolo di cuoio nero verniciato; fregio ricamato in oro completato, rispetto al preceden-te, dall'aggiunta sotto la stella di due caducei incrociati; distintivi di grado a nastro su fondo celeste, limitatamente però al berretto g.v. — Giubba grigio verde, a bavero aperto ricoperto di velluto celeste; bottoniera centrale esterna con quattro bottoni metallici zigrinati recanti in rilievo il fregio del corpo, quattro tasche esterne munite di bottoncino metallico, cucitura centrale nella parte posteriore; controspalline mobili di tessuto g.v. filettate di panno celeste recanti, al centro, il fregio del corpo ricamato in oro e bordate da un galloncino in oro per gli ufficiali superiori; distintivi di grado posti sulle maniche al di sopra delle
manopole di galloncini e galloni dorati applicati su panno celeste che deve risultare, nel caso di più galloni, solo fra gallone e gallone (il gallonano superiore forma per tutti un occhiello ovale). Al di sotto della giubba, camicia bianca e cravatta nera, oppure camicia grigioverde e cravatta grigio verde. Nulla di invariato per il pantalone corto g.v., mentre il pantalone lungo è ora senza bande e senza sottopiede, ma provvisto di risvolti per cui è indossato con calze nere e scarpe basse senza speroni. Col pantalone lungo non si porta la sciabola fatta eccezione che per la grande uniforme g.v. fuori servizio.
Nella grande uniforme le controspalline di panno g.v. sono sostituite da speciali controspalline metalliche ad imitazione tessuto, portanti, applicato ed in rilievo, il fregio del Corpo ed il distintivo per gli ufficiali superiori. Anche agli ufficiali veterinari è concessa la bandoliera in gallone d'oro e cofanetto nero con aquila sabauda in metallo d'argento. Pendagli della grande uniforme in tessuto d'oro filettato al centro di azzurro. Nell'uniforme di marcia sempre camicia e cravatta g.v., cinturone con pistola e nei servizi a cavallo anche la sciabola, ed al posto del berretto in particolari circostanze (ad es. marce di
trasferimento, campi estivi ed invernali) un nuovo copricapo, la bustina, con fregio rimpicciolito e distintivi di grado sul lato sinistro, prima in galloni come quelli del berretto a visiera, poi, dal 1935 sostituiti da stellette. Allorché gli ufficiali prendono parte in estate ai campi ed alle manovre, è consentito non indossare la giubba. In questo caso la camicia deve avere le controspalline semifisse, due taschini riportati e muniti di patte chiuse da un bottoncino, collocati in corrispondenza del petto ed i distintivi di grado, pressoché identici a quelli del berretto a busta, fissati al disopra del taschino sinistro. Deve inoltre essere sempre portata la cravatta e attorno alla vita, al di sotto del cinturone, una fascia elastica grigio-verde.
L'uniforme nera, adottata «per rispondere ad esigenze di adattamento alle consuetudini di società» fu sotto certi aspetti un ritorno al passato e conferì senza dubbio, nei rapporti di società, un maggior decoro e prestigio agli ufficiali. Fondamentalmente si componeva:
— berretto di panno nero identico nella forma a quello di panno g.v., ma con i distintivi di grado su fondo nero;
— giubba di panno nero, a doppio petto con sette bottoni metallici per parte e con finte
tasche sul rovescio fermate da due bottoni metallici per parte: bavero di velluto celeste; controspalline di panno nero foderate di celeste con fregio e distintivi di grado, manopole a punta di velluto nero orlate superiormente da filettatura celeste e chiuse posteriormente da tre bottoncini.
— Pantaloni lunghi neri senza risvolti e provvisti di sottopiede di cuoio nero e linguetta di stoffa color celeste fermati da due bottoncini e fibbie di metallo dorato, ornati lungo la cucitura esterna da una banda di panno celeste larga quattro centimetri (a questo proposito si ricorda che gli ufficiali delle armi combattenti avevano doppie bande);
— stivalini interi di pelle lucida senza speroni;
— guanti bianchi;
— sciabola con pendagli e dragona di cuoio nero.
Questa in sintesi l'uniforme nera di visita, da indossare nel pomeriggio nei soli casi in cui per i civili è di prescrizione l'abito da visita ossia il tight.
A seconda poi delle circostanze, l'uniforme nera si completava con altri ornamenti. Ed ecco le prescrizioni:
— Uniforme nera da sera senza decorazioni (quando i civili indossano il frack) al posto delle controspalline di panno, spalline metalliche e frangia come quelle precedentemente in uso ma in oro e con l'aggiunta sullo scudo del fregio del Corpo in metallo d'argento; alla sciabola pendagli in gallone dorato e dragona d'oro.
— Uniforme nera da sera con decorazioni (quando queste ultime sono previste per i civili) come l'uniforme da sera con l'aggiunta delle decorazioni metalliche e della sciarpa.
— Grande uniforme nera: come la precedente con l'aggiunta della bandoliera. L'uniforme ordinaria estiva, più semplicemente nota come uniforme bianca, si componeva dei seguenti elementi:
— Berretto di tela bianca della foggia di quello g.v. con visiera e soggolo di cuoio nero.
— Giubba aperta di tela bianca ad un petto con quattro bottoni metallici; finte tasche al petto e ai fianchi orlate di un gallone di seta bianca foggiato ad alamaro; controspalline di panno g.v. filettate di celeste recanti oltre al
fregio del corpo i distintivi di grado in stellette.
— Camicia bianca e cravatta lunga nera opaca;
— Pantaloni lunghi di tela bianca con risvolto;
— Scarpe basse bianche di tela o pelle e calze bianche;
— Guanti bianchi di pelle o filo. Era prevista anche la «grande uniforme estiva» in sostituzione di quella g.v., distinta, da quella ordinaria, per la sciarpa azzurra, le decorazioni metalliche, la sciabola con pendagli e dragona in oro ed il colletto della camicia inamidato.
Come si può notare il corredo dell'ufficiale veterinario in S.P.E. (servizio permanente effettivo) era notevolmente vario e soprattutto costoso.
Contemporaneamente e conseguentemente si modificano anche le uniformi del Corpo Truppe Coloniali che, pur mantenendo la loro peculiarità, adottano i criteri ispiratori della recente riforma.
Anche gli allievi ufficiali veterinari indossano nuove uniformi simili a quelle degli ufficiali soprattutto nel tessuto della divisa che è di diagonale o cordellino. Ma non si comprende per quale motivo il fregio sul berretto degli allievi rimase quello vecchio ossia senza caducei, ingenerando una certa confusione negli allievi allorché venivano promossi ufficiali. Infatti alcuni neopromossi si presentavano ai reparti di destinazione col berretto da allievo sul quale apponevano il gallone ed il primo impatto con i colleghi d'arma finiva al circolo ufficiali per la tradizionale «bevuta» a spese del neo ufficiale.
Nel 1935 è riesumato il grado di aspirante ufficiale, immediatamente inferiore a quello di sottotenente, conferito esclusivamente agli allievi ufficiali di complemento al termine del corso e all'atto della nomina ad ufficiale. Il relativo distintivo di grado è quello da sottotenente, ma vergato al centro da una striscia di seta nera. Inoltre l'aspirante non indossa, nella grande uniforme, la bandoliera. Sempre sullo scorcio del 1935, molti ufficiali veterinari, specialmente di complemento, partecipano alla campagna etiopica, indossando le uniformi coloniali adatte al clima torrido delle terre d'Africa. Tutti gli ufficiali veterinari fanno uso di una particolare giubba, la cosiddetta «sahariana», molto pratica ed utile confezionata in tela con colletto basso, chiuso e rovesciato e i gradi sulle controspalline di panno nero, tipiche degli ufficiali appartenenti ai corpi delle truppe coloniali (Libia, Eritrea, Somalia). Una particolarità che può essere sfuggita ai più, riguarda gli ufficiali veterinari assegnati alle divisioni camicie nere della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.). Costituite per l'occasione, le divisioni CC.NN. (camicie nere), non prevedendo gli organici della M.V.S.N. ufficiali veterinari, si avvalsero dei veterinari dell'esercito che si distinguevano dai colleghi per le mostrine celesti al bavero della giubba (gli ufficiali veterinari non portavano, nell'uniforme coloniale, questo distintivo), la cravatta nera al posto di quella cachi, ed il caratteristico pugnale in dotazione agli ufficiali della milizia.

 

Dati uniformologici 1940-1943


Le uniformi di tutti gli ufficiali, compresi quindi i veterinari, si adeguano al clima di austerità imposto dalla gravita del momento.
Dalla giubba scompaiono tutte le guarnizioni di panno e velluto celeste, i fregi dorati sulle controspalline, ed i bottoni metallici sono sostituiti con quelli di osso o frutto color grigioverde. I distintivi di grado alle maniche sono rimpiccioliti ed al bavero riappaiono le mostrine celesti ad una punta.
E adottata inoltre l'uniforme da campagna confezionata in panno grigio verde da truppa, priva di fronzoli ed ornamenti ad esclusione dei distintivi di grado, ancora più rimpiccioliti e trasferiti sulle manopole in corrispondenza dei polsi e non più in galloni dorati ma ricamati in seta o raion giallo; al bavero le «pipe» celesti.
I pantaloni dell'uniforme da campagna vengono privati delle bande nere filettate. Gli ufficiali continuano ad indossare il cinturone con spallaccio di cuoio marrone.
Ma le esigenze belliche e la vastità dei vari 
fronti operativi impongono l'uso dei più svariati indumenti in aggiunta a quelli di prescrizione.
In Grecia e specialmente in Russia si adottano sciarpe, maglioni, cappotti, copricapi e guantoni foderati di pelliccia, in Africa gli ufficiali indossano giubbe sahariane di vario tipo, bustine con visiera e calzoncini corti di tela.
Anche le uniformi degli allievi ufficiali veterinari di complemento si adeguano al clima di guerra. L'elegante divisa in diagonale è sostituita con l'uniforme di ruvido panno grigioverde da truppa, mentre sul bavero della giubba sono apposte le mostrine celesti ad una punta ed il gallonano dorato degli allievi ufficiali; al posto dei gambali a stecca, quelli previsti per i soldati delle armi a cavallo, ossia muniti di cinghie. Con la uniforme da libera uscita è conservato il berretto rigido a visiera guarnito ora del fregio ricamato in oro, già stabilito per gli ufficiali del Corpo, cioè con i caducei.

 

 

 

Note

 

 

Fonte

Ruggero Belogi, "Il Corpo Militare della Croce Rossa Italiana" Edito a cura del Comitato Provinciale della CRI di Bergamo, 1989, pagg. 133-135, pagg. 143-144, pagg. 147-149, pagg. 152-153.