Storia dei Reparti
Servizio Veterinario
La riorganizzazione del corpo dopo la 1a Guerra Mondiale
Terminato il conflitto mondiale, si inizia
la smobilitazione dell'Esercito. Nel Corpo Veterinario Militare
l'avvio alla normalizzazione del proprio apparato enormemente
ingigantito dalle ineluttabili esigenze belliche, procede con
molta lentezza, suscitando il comprensibile e giusto
risentimento di quanti, dopo anni di vita militare, debbono
reinserirsi nell'attività professionale civile. Solo verso la
fine del 1919 il Corpo Veterinario Militare ha il nuovo organico
di pace così composto: 1 colonnello, 6 tenenti colonnelli, 18
maggiori, 70 capitani, 109 subalterni.
Alla euforia conseguente la vittoriosa conclusione dell'immane
conflitto, subentra anche nel Corpo Veterinario Militare, un
notevole senso di disagio morale e materiale reso ancor più
acuto da alcuni avventati provvedimenti del Ministero della
Guerra assillato, ora più che mai, da drastiche riduzioni al
proprio bilancio. Per contenere le spese e rinsanguare l'erario,
il Ministero non trova altra soluzione che togliere agli
ufficiali, compresi i veterinari, il diritto all'«indennità
foraggio» di cui godevano tutti gli ufficiali ai quali, per
necessità di servizio, era concesso l'uso del cavallo, indennità
che bene o male veniva a mitigare le pesanti pastoie economiche
nelle quali si dibattevano gli ufficiali del Corpo. Ma, ironia
della sorte, pressoché contemporaneamente veniva concessa, solo
agli ufficiali delle armi combattenti, una nuova «indennità
cavallo», con sensibile aggravio di bilancio dato l'elevato
numero degli aventi diritto. Si risparmiava così un centinaio di
migliaia di lire a scapito degli ufficiali veterinari e di
quelli degli altri servizi, per spendere poi alcuni milioni
sotto altra voce.
Ma non solo questo amareggiava gli ufficiali del Corpo
Veterinario, coinvolti anch'essi nel clima turbolento ed
inquieto di quel drammatico dopoguerra, caratterizzato da
atteggiamenti e decisioni del parlamento e del governo, se non
proprio ostili verso gli ufficiali, per lo meno lesivi di alcuni
principi morali e materiali. A ciò si aggiungevano le difficoltà
di carriera, ancora attuali per gli ufficiali veterinari, i
quali nella maggioranza raggiungevano i limiti di età ed il
pensionamento nel grado di capitano.
Tutto questo insieme di circostanze spinse non pochi ufficiali
veterinari in S.A.P. (servizio attivo permanente), nella maggior
parte subalterni e capitani, a chiedere di essere collocati
nella nuova posizione ausiliaria speciale (P.A.S.) o aspettativa
speciale, posizione questa prevista nell'ordinamento
post-bellico dell'Esercito ed intesa a favorire lo sfoltimento e
la riduzione dei quadri, eccessivamente esuberanti per gli
organici di pace.
Ma proprio per i veterinari militari il Ministero della Guerra
ritenendoli «necessari ed utili in quanto le condizioni del
servizio non lo permettono» respingeva sia le domande per la
P.A.S. sia le domande di dimissioni.
La situazione divenne preoccupante per la vita stessa del Corpo,
allorché tutta la categoria dei veterinari italiani insorse
pressoché compatta contro quelle che reputava vere e proprie
ingiustizie tendenti, seppur non intenzionalmente, ad umiliare
il Corpo, chiedendo persino a tutti gli ufficiali veterinari di
inoltrare in massa domanda di dimissioni.
La solidarietà di tutti i veterinari italiani non tardò a dare
alcune soddisfazioni anche se parziali. Fu riconosciuto per
intero il periodo del corso di laurea agli effetti della
pensione (si rammenta a questo proposito che in precedenza erano
valutati solo tre anni), e venne concessa l'indennità
professionale parificandola a quella già percepita dagli
ufficiali del servizio sanitario.
Un'altra minaccia al Corpo Veterinario Militare, ma non solo per
questo, si profilò attorno al 1924 allorché l'on. Belluzzi
presentò alla giunta generale del bilancio una proposta
contenuta nello stato di previsione del Ministero della Guerra,
tendente a trasformare radicalmente i diversi servizi
dell'Esercito (medico, veterinario, commissariato, contabile)
mediante la riduzione del personale attivo, la soppressione del
grado militare ed il ricorso a personale civile convenzionato.
La proposta non ebbe l'approvazione delle camere, e tutto
rientrò nella normalità.
Con decreto ministeriale del 22 novembre 1922 l'Ufficio di
Ispezione Veterinaria, che dipendeva direttamente dal
segretariato generale alla guerra, organismo questi soppresso,
viene fagocitato e passato alle dipendenze dell'Ispettorato
Ippico retto da un generale di cavalleria. Le attribuzioni
dell'ufficio del capo del Servizio Veterinario sono fissate
dalla circolare n. 58 del «Giornale Militare» del 1924, che
prevede «Pareri sulla mobilitazione del Corpo Veterinario
Militare-Consulenza circa i provvedimenti atti a dare incremento
alla produzione del cavallo e del mulo per l'Esercito-Controllo
tecnico sull'esito delle rimonte-Consulenza sul funzionamento
degli stabilimenti ippici militari-Igiene-Profilassi-Polizia
sanitaria e giurisprudenza veterinaria — Pareri
sull'alimentazione ed il miglioramento dei quadrupedi della
truppa - Ispezioni igienico sanitarie ai quadrupedi del R.
Esercito-Definizione dei requisiti del materiale stesso -
Sovraintendenza sui lavori e sul funzionamento del dipendente
laboratorio batteriologico di veterinaria militare - Statistica
sanitaria-Proposte per l'assegnazione ed il trasferimento degli
ufficiali veterinari-Proposte per l'esame di ammissione e
l'avanzamento degli ufficiali veterinari-Consulenza tecnico
legale circa le cause che determinano la perdita di cavalli di
ufficiali».
A giudizio dei più diretti interessati dell'epoca, le nuove
attribuzioni vengono valutate come un ulteriore apprezzamento
dell'opera svolta dai veterinari militari, convalidata dalla
circostanza che al capo del Servizio Veterinario è concessa la
firma «d'ordine» e conseguente-mente una posizione più
indipendente di prima (dal che si deduce che prima non c'era la
firma).
Mentre per l'ennesima volta veniva bocciata la proposta di
istituire il generale veterinario, motivando però la decisione
esclusivamente con necessità di bilancio che vedevano nel
contempo ridurre drasticamente gli organici nei gradi di
generale, il nuovo ordinamento del R. Esercito del 1924
apportava un effettivo e notevole miglioramento agli organici
dei veterinari militari soprattutto nei gradi di tenente
colonnello, maggiore e capitano, passati rispettivamente da 6 a
13, da 18 a 25, da 70 a 76, anche se viene ridimensionato il
numero dei tenenti fissato ora a 59. Complessivamente quindi: 1
colonnello, 13 tenenti colonnelli, 25 maggiori, 76 capitani, 59
tenenti. Con il decreto dell'8 novembre 1928 concernente i
provvedimenti per la carriera degli ufficiali inferiori di
fanteria e cavalleria e degli ufficiali del Corpo Veterinario,
vengono previsti, oltre al colonnello capo del corpo, altri tre
colonnelli con il compito di ispettori di zona veterinaria
militare. L'organico del corpo è ora il seguente: 4 colonnelli,
16 tenenti colonnelli, 30 maggiori, 88 capitani, 56 subalterni.
Verso la fine del 1924 riprendono i corsi per il reclutamento
dei sottotenenti di complemento del Corpo Veterinario Militare,
interrotti da oltre dieci anni. Il Ministro della Guerra dispone
che i giovani non presentati alle armi e muniti di laurea in
zooiatria, dovranno d'ora in poi compiere un periodo
d'istruzione militare di tre mesi (con inizio 1° dicembre 1924)
presso due reggimenti di cavalleria: il reggimento cavalleggeri
Vittorio Emanuele II (Brescia) ed il reggimento Piemonte Reale
Cavalleria (Roma). Presso quest'ultimo saranno ammessi soltanto
i giovani con statura minima di m. 1,70. Gli allievi, ultimato
il corso, subiranno le prove di idoneità per il grado di
caporale e, se promossi, passeranno ad un corso d'istruzione
tecnico professionale della durata di tre mesi (inizio 1° marzo
1925) presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo, ultimato il
quale, dopo il risultato favorevole di prove d'esame, saranno
promossi sottotenenti di complemento per compiere sotto le armi
gli obblighi di leva per un periodo non inferiore a tre mesi.
Norme speciali sono dettate anche per i militari laureati già
sotto le armi, per quelli che rivestono i gradi di caporale e
sottufficiale e per quelli che non superano con esito favorevole
le prove dopo il corso di istruzione militare e quello
tecnico-professionale.
Pertanto nel marzo del 1925 ritornano a Pinerolo gli allievi
ufficiali veterinari di complemento, perpetuando così una
tradizione iniziatasi trent'anni prima. L'anno dopo il corso
allievi ufficiali verrà svolto integralmente presso la Scuola di
Pinerolo.
All'indomani della fine delle ostilità in Europa, si erano
riaccesi sul territorio libico i focolai di ribellione, mai
sopiti, e che avevano acquistato nuovo vigore, approfittando
dell'impegno italiano nel conflitto mondiale che aveva
polarizzato gli sforzi, assorbendo e distogliendo, dal
continente africano, molte risorse umane e materiali, per
inviarle sui fronti continentali. Si videro così vanificati, in
breve volgere di tempo, gli sforzi e tanti sacrifici sopportati
con la guerra italo-turca del 1911-12 e con le successive
operazioni di consolidamento e pacificazione, tanto che
l'occupazione della colonia libica si era ristretta alle sole
zone costiere.
Già nel 1919 vennero inviati in Libia i primi rinforzi
costituiti da reparti organici nazionali ed indigeni provenienti
quest'ultimi in massima parte dall'Eritrea, mentre il Governo
tentava di risolvere la grave situazione mediante intese con i
capi dei ribelli. Risultati vani i negoziati, si iniziarono nel
1922 le operazioni militari dopo nuovi apporti di truppe
nazionali ed indigene. Per circa un decennio gli ufficiali
veterinari dei Corpi Coloniali della Tripolitania e della
Cirenaica furono direttamente impiegati nelle operazioni
militari al seguito delle molteplici colonne mobili, costituite
da reparti celeri dotati di grande autonomia, velocità di
movimento, decisa aggressività e montati sui veloci mehara
(dromedari da corsa), animali questi risultati preziosi ed
insostituibili per le loro peculiari doti di sobrietà e
resistenza, nell'affrontar e le ampie distese di sabbia e la
rude esperienza del deserto.
Anche gli ufficiali veterinari, già abili cavalieri, affrontano
con disinvoltura la nuova cavalcatura inforcando la dura sella «Ralha»,
e formano dei drappelli veterinari cammellati, indossando il
tipico equipaggiamento adatto alla circostanza.
Sarebbe impossibile riportare, come meriterebbero, gli
innumerevoli episodi che videro la figura dell'ufficiale
veterinario erigersi a protagonista, ma citeremo per tutti quel
giovane tenente, da poco sbarcato in Tripolitania, che seguì,
passo per passo, per oltre 5.000 Km, percorsi tutti sul dorso
del cammello, i gruppi Sahariani comandati dall'allora ten. col.
Amedeo di Savoia Aosta, che in pieno deserto, fra disagi ed
insidie di ogni sorta, approntò un ricovero di fortuna per circa
300 cammelli, ridotti ormai allo stremo, ricoperti di rogna,
cachettici, in preda a carenze alimentari, e nel volgere di tre
mesi li restituì tutti ai reparti completamente guariti e
ristabiliti, non disdegnando di ricorrere anche ai sotterfugi
della terapia araba per la cura della rogna e ad ingegnose
astuzie per integrare la scarsa e carente razione giornaliera.
L'iniziativa, il coraggio e la solida preparazione professionale
del tenentino veterinario furono determinanti per l'esito
positivo dell'operazione militare, che sembrava ormai
compromessa dalla inefficienza del più valido mezzo di trasporto
nel deserto. È inutile aggiungere che l'ufficiale veterinario
divenne il più prezioso collaboratore del giovane Duca d'Aosta,
che lo volle sempre con sé in tutte le altre vicissitudini
belliche.
Il Corpo Veterinario Militare continua frattanto in patria
l'incessante attività presso i singoli reparti, presso i centri
di riproduzione, di allevamento e raccolta quadrupedi,
contribuendo validamente ad alleviare la endemica penuria
italiana di cavalli e muli, ancora fattori indispensabili
all'efficienza dell'Esercito. A ciò va aggiunta l'attività
zootecnica, specie nei territori d'oltremare, che arrecò
notevoli benefici alle popolazioni locali, e l'attività
scientifica irradiata dai Labora-tori ed Istituti del Corpo,
veri e propri centri di cultura, di ricerca e di studi.
Nella compagine dell'Esercito i veterinari militari assolvono
quindi a funzioni d'ordine igienico, sanitario e zootecnico a
mezzo dei loro organi direttivi ed esecutivi, centrali e
periferici. Al centro il colonnello capo del Corpo e del
Servizio, alla periferia i colonnelli ispettori di zona
veterinaria, i capi ufficio di veterinaria di armata, di corpo
d'armata e di divisione, tutti ufficiali superiori: questi gli
organi direttivi. Gli ufficiali veterinari inferiori e
subalterni (capitani, tenenti, sottotenenti) impersonano gli
organi esecutivi presso i reggimenti, gli altri reparti
organici, le scuole, i centri rifornimento quadrupedi ecc. A
questa struttura organizzativa si aggiungono i Laboratori
veterinari militari: quello batteriologico di Roma,
specializzato nella produzione di sostanze diagnostiche e
immunizzanti, nonché centro di ricerche e studi per
l'accertamento delle malattie infettive degli equini e di nuovi
ritrovati alimentari ad alto potere energetico per integrare
l'alimentazione da somministrare ai quadrupedi; quello di
Bologna deputato alla produzione di siero antitetanico, per uso
umano e veterinario, e centro di studi ed indagini sperimentali
riguardanti il tetano ed altre malattie ed infine gli istituti
siero vaccinogeni dell'Eritrea e della Somalia, con sede
rispettivamente ad Asmara e Merca, che sotto la direzione degli
ufficiali veterinari tanto merito ebbero nella difesa del
patrimonio zootecnico locale, riuscendo a debellare uno dei
flagelli più temuti per il bestiame, la peste bovina. Più delle
frasi valgono alcuni dati statistici assai significativi: nel
1924 la capacità produttiva del siero antipestoso superò le
1.000 dosi giornaliere con l'impiego di circa 600 bovini
siero-produttori. Ciò contribuì in maniera determinante allo
sviluppo del patrimonio bovino locale, consentendo, nel volgere
di pochi anni, di raddoppiare la consistenza che toccò i 750.000
capi. Nel contesto di queste encomiabili istituzioni, meritano
una particolare menzione, come già accennato, gli studi e le
ricerche dell'allora maggiore Malvicini, valente esperto in
bromatologia animale, che nel 1930 diede l'avvio ad importanti
sperimentazioni, sfociate, negli anni successivi, nella
attivazione di una efficiente industria per la preparazione di
mangimi concentrati, che poneva il Servizio Veterinario Militare
all'avanguardia di questo settore e antesignano della moderna
mangimistica. Una nuova edizione delle «Norme generali
sull'organizzazione ed il funzionamento dei servizi in guerra» è
pubblicata nel 1932 e sostituisce il precedente atto risalente
al 1915.
Ampio spazio viene dato nel capo X al Servizio di Veterinaria i
cui compiti spaziano dalla vigilanza sulle condizioni sanitarie
dei quadrupedi, alla cura, allo sgombero ed al recupero dei
quadrupedi malati e feriti, all'accertamento della buona qualità
della carne e dei foraggi, al rifornimento dei materiali di
veterinaria e mascalcia. Per l'attuazione delle molteplici
incombenze il servizio dispone, presso le varie grandi unità e
presso i corpi e reparti, di organi direttivi ed esecutivi, come
indicato dallo specchio che viene integralmente riportato.
Comando od unità |
Organi |
||
|
Coordinatori |
Direttivi |
Esecutivi |
Comando Supremo
|
Intendente generale
|
Direzione superiore di veterinaria
|
Direzione del deposito centrale carreggio, bardature e mascalcia (a)
Direzioni delle infermerie quadrupedi Direzioni delle infermerie specializzate per malattie infettivo- contagiose |
Armata
|
Intendente di Armata
|
Direzione di veterinaria di Armata
|
Direzioni dei convalescenziari per quadru- pedi(b) Direzione del magazzino di veterinaria e di mascalcia d'Armata Direzione del deposito centrale di sanità e di veterinaria d'Armata (e) |
Corpo d'Armata
|
Comandante del Corpo d'Armata
|
Direzione di Veterinaria di Corpo d'Armata |
Direzioni delle infermerie temporanee qua- drupedi (b) Direzioni delle infermerie quadrupedi
|
Div. di Fanteria e celere |
Comandante della Divisione |
Ufficio di veterinaria divisionale |
Direzione delle infermerie temporanee quadrupedi (b)
|
Corpi e repartarti
|
Comandante di corpo o reparto |
Dirigente il servizio veterinario |
Ufficiali veterinari; maniscalchi Direzioni delle infermerie temporanee qua- drupedi (b) |
(a) È organo del servizio dei
trasporti e delle tappe; interessa il servizio di veterinaria
quale organo di rifornimento dei materiali di mascalcia.
(b) Eventuali.
(e) È organo esecutivo del servizio di sanità; interessa il
servizio di veterinaria quale organo di rifornimento
per i materiali di veterinaria.
Gli organi direttivi devono presiedere
all'organizzazione e al funzionamento del servizio nella zona
assegnata all'unità, emanano direttive per l'igiene e la
profilassi e vigilano sulla loro attuazione, mantenendosi in
contatto con le competenti autorità civili per prevenire e
circoscrivere le epizoozie che dovessero insorgere tra i
quadrupedi della popolazione civile. Propongono all'organo
coordinatore dal quale dipendono, eventuali varianti alla
composizione della razione foraggi, in relazione alle condizioni
di vita e di lavoro dei quadrupedi ed alla disponibilità degli
elementi costitutivi della razione. È compito degli organi
direttivi organizzare e dirigere la raccolta dei quadrupedi
malati e feriti e la loro cura presso gli stabilimenti
direttamente dipendenti. Anche le proposte delle norme per la
riforma e l'abbattimento dei quadrupedi non più idonei al
servizio, e così pure quelle per il passaggio di reparto, sono
di competenza degli organi direttivi che rappresentano anche
tempestivamente al comando delle unità alle quali sono addetti,
l'eventuale necessità di impiantare infermerie temporanee e
stabilimenti specializzati. Sono inoltre di pertinenza degli
organi direttivi il rifornimento di materiali di veterinaria e
di mascalcia, l'inoltro delle richieste per il rifornimento,
l'inoltro delle richieste del personale occorrente per
sostituzioni o nuovi impianti, le proposte ed il relativo parere
sull'assegnazione di ufficiali veterinari alle cariche più
importanti, gli accertamenti della qualità della carne e dei
foraggi da distribuire alle truppe ed ai quadrupedi.
Al servizio di igiene e profilassi nella zona dell'esercito
operante, da estendersi, quando sia necessario, anche ai
quadrupedi della popolazione civile, provvedono gli ufficiali
veterinari ed i veterinari civili della zona, col concorso di
squadre tosatori delle infermerie quadrupedi e del laboratorio
chimico-batteriologico tossicologico della dire-zione di sanità
d'Armata.
In caso di epidemie tra i quadrupedi, i direttori di veterinaria
adibiscono al ricovero ed all'isolamento un certo numero di
infermerie da specializzarsi per malattie infettivo-contagiose.
Giornalmente, in ore da stabilirsi dai comandi, i quadrupedi
malati o feriti vengono visitati dall'ufficiale veterinario. Per
i corpi sprovvisti si provvede o con l'inviare i quadrupedi
presso il più vicino corpo che ne sia provvisto o con l'inviare
il veterinario presso i corpi. L'ufficiale veterinario determina
quali quadrupedi debbano essere curati presso i corpi, quali
debbano essere inviati alle infermerie, quali debbano essere
abbattuti. Generalmente sono curati presso i corpi i quadrupedi
ammalati o feriti leggeri. I solipedi abbisegnevoli di speciali
cure possono essere riuniti in infermerie temporanee impiantate
presso alcuni corpi.
Tali infermerie cessano di funzionare quando il corpo che le ha
impiantate riprende il movimento: i quadrupedi che vi sono
ricoverati o rientrano ai loro reparti o sono spostati nelle
infermerie di Corpo d'armata o d'Armata, a seconda delle loro
condizioni. I solipedi affetti da malattie o ferite che
richiedano lungo periodo di cura e quelli affetti da malattie
epidemico-contagiose sono temporaneamente sgombrati dai corpi e
dalle infermerie e portati nelle infermerie quadrupedi di Corpo
d'armata e di Armata a mezzo dei carri biga delle infermerie e
degli autocarri attrezzati. Le infermerie di Corpo d'armata e
d'Armata si impiantano in numero adeguato alle necessità del
ricovero dei quadrupedi ammalati o feriti, a portata delle
truppe onde evitare ai quadrupedi ammalati percorsi troppo
lunghi. La dislocazione delle infermerie dovrà essere tale da
non creare ingombro.
Nel caso di malattie epidemico-contagiose dovranno essere
istituite alcune infermerie in località che ne favoriscano
l'isolamento.
Per i quadrupedi dimessi dalle infermerie ma non ancora in grado
di prestare servizio e per quelli deperiti, potranno essere
impiantati convalescenziari quadrupedi.
Quando è possibile, i quadrupedi guariti sono fatti rientrare al
corpo di provenienza, altrimenti sono trasferiti al parco
quadrupedi, carreggio e bardature d'Armata.
Il rifornimento del materiale di veterinaria e di mascalcia alle
truppe ed ai servizi di Corpo d'armata è effettuato
dall'infermeria quadrupedi di Corpo d'armata, mentre per unità
dipendenti dall'Armata è eseguito dalle infermerie quadrupedi
designate dalla Direzione di veterinaria di Armata.
Le infermerie quadrupedi sono rifornite a loro volta dal
magazzino di veterinaria e mascalcia di Armata, che riceve i
rifornimenti di materiale veterinario dal deposito centrale di
sanità e di veterinaria di Armata e di materiale di mascalcia,
di massima, dagli stabilimenti territoriali ed eccezionalmente,
dal deposito centrale carreggio, bardature e mascalcia.
Al parere dell'ufficiale veterinario, è lasciato il giudizio
sulla commestibilità o meno delle carni dei quadrupedi abbattuti
in conseguenza di malattie e di ferite.
Nella zona dell'esercito operante, a cura della Direzione di
veterinaria d'Armata, possono essere installati digestori per la
utilizzazione delle carogne dei quadrupedi.
Il corpo veterinario militare dalla campagna d'Etiopia alla vigilia della 2a Guerra Mondiale
Benché i progressi tecnologici e le nuove
dottrine belliche imponessero la sostituzione del traino animale
con quello meccanico e l'impiego dei nuovi mezzi corazzati al
posto della cavalleria, il ruolo dei veterinari militari non
diminuisce affatto d'importanza, tanto è vero che nel 1934
l'organico del Corpo viene nuovamente allargato in quasi tutti i
gradi. I colonnelli passano da 4 a 6 di cui uno assegnato alla
Scuola Allievi Ufficiali di complemento, i tenenti colonnelli da
16 a 18, i maggiori da 30 a 37, i tenenti da da 50 a 60; solo
una lieve flessione per i capitani ridotti da 78 a 60.
Nel 1935 l'Italia si appresta ad una nuova impresa africana, la
conquista dell'Etiopia. Al canto di «Faccetta nera» partono alla
volta del continente africano le truppe italiane, e con esse i
mezzi ed i materiali occorrenti all'immane sforzo.
L'asprezza del territorio, la mancanza assoluta di strade, la
enorme distanza della madrepatria (oltre 6.000 km.) non fanno
certo prevedere una soluzione a breve termine del conflitto,
anzi i più quotati osservatori stranieri profetizzano una
inevitabile catastrofe per la spedizione italiana.
Si profilano subito, sin dalla fase di preparazione, enormi
problemi di rifornimento e movimento delle truppe operanti, il
cui successo dipende strettamente da un supporto logistico
enorme ed imprevedibile, imperniato sull'uso dei quadrupedi.
Il Corpo Veterinario Militare è al centro dell'attenzione ed ha
l'incarico di studiare e risolvere molti problemi di capitale
importanza per l'esito della campagna. La fiducia accordata è
pienamente riposta. Oltre un centinaio sono gli ufficiali
veterinari direttamente impiegati nell'impresa etiopica, e fra
questi molti i giovani tenenti e sottotenenti di complemento.
La compagine del servizio veterinario militare è un modello di
organizzazione sia nella fase preparatoria che in quella
operativa. Viene istituito un organismo coordinatore di tutti i
servizi, l'Intendenza Africa Orientale che riunisce in sé le
diverse direzioni d'intendenza, fra cui quella di veterinaria
retta dal ten. col. dott. G. Conti. Spetta alla direzione
veterinaria d'intendenza sovrintendere presso la base di Massaua
a tutte le operazioni di sbarco dei quadrupedi, assisterli,
convogliarli poi nelle diverse direzioni presso i reparti, e
ancora assicurare i collaudi e la conservazione degli imponenti
quantitativi di derrate alimentari di origine animale
(dell'ordine di centinaia di migliaia di quintali) destinate
alle truppe, e dei mangimi occorrenti ai quadrupedi. In stretta
collaborazione con l'Ufficio Veterinario delle truppe coloniali
dell'Eritrea, la direzione veterinaria d'intendenza provvede a
reperire in loco altri quadrupedi certamente più resistenti e
soprattutto acclimatati. Nella sola fase preparatoria della
campagna sono acquistati sul territorio eritreo ben 7.000
muletti, 900 cammelli, 500 cavalli e 2.000 asinelli, utilissimi
quest'ultimi nei servizi cosiddetti a piccolo raggio. Si calcola
che il totale dei quadrupedi impiegati nei cicli operativi
raggiungesse la cifra di 90.000 unità, di cui 82.000 trasportati
oltremare. Presso i reparti combattenti il servizio veterinario
militare è presente nei quattro Corpi d'armata nazionali e nel
Corpo d'armata eritreo con le diverse articolazioni fino ai
reparti minori. Analoga struttura organizzativa si sviluppava
poi nello scacchiere sud presso il Comando Forze Armate della
Somalia, dove viene istituita la direzione veterinaria retta dal
ten. col. Caramanna ed incorporata nella Delegazione
d'intendenza.
Enorme è l'impegno e l'attività svolta dal
servizio veterinario, valutato nella sua globalità, e
preziosissimo l'apporto dei centri vaccinogeni dell'Asmara e di
Merca considerati, a giusta ragione, fra i migliori del mondo.
Tutta una rete di infermerie quadrupedi, di speciali sezioni (dermatosari),
di convalescenziari, di parchi speciali, viene dislocata lungo
le grandi direttrici di marcia. A questa imponente
organizzazione primaria, si deve aggiungere quanto viene fatto,
per iniziativa personale dagli ufficiali veterinari distaccati
presso i reparti combattenti nelle zone avanzate, impegnati
quotidianamente alla soluzione di problemi contingenti che
richiedono, oltre ad una salda preparazione professionale, non
comuni doti di coraggio e prontezza decisionale. Sintetizzano
tutto l'impegno profuso dai veterinari militari
nell'assolvimento del loro dovere, la motivazione dell'encomio
solenne tributato al Corpo a conclusione dell'impresa Etiopica
ed il messaggio indirizzato al Corpo dal Maresciallo Badoglio,
già comandante supremo di tutte le truppe in Africa Orientale.
Encomio solenne
«In terra d'Africa, nell'applicarsi con assoluta dedizione alla cura dei mezzi animali di trasporto, che la rapida avanzata su impervi territori rendeva ogni giorno più preziosi, ha confermato le sue tradizioni di perizia»
Messaggio del Maresciallo Badoglio
II continuo estendersi della motorizzazione
non toglie davvero importanza ai quadrupedi, specie per un
esercito, come il nostro, il quale ha, nel territorio della
madre-patria e dell'Impero, imponenti, aspre catene montane.
Perciò molto affidamento deve farsi all'opera assidua e
benemerita del Corpo veterinario affinché i mezzi animali di
trasporto rispondano sempre, per numero e qualità, ad ogni
possibile esigenza operativa, là dove i mezzi a motore rendano
meno o non possano rendere affatto.
La guerra d'Etiopia ha dimostrato all'evidenza il prezioso
valore dei mezzi a soma in regioni impervie ed essi hanno certo
largamente contribuito al successo, consentendo ai servizi di
funzionare quando ancora mancava la possibilità agli automezzi
di procedere, né era conveniente o possibile far ricorso ad
aerei.
Così essi hanno indubbiamente contribuito a
rendere rapida la nostra avanzata durante molte battaglie e
particolarmente in quella dell'Ascianghi.
Al Corpo veterinario si deve riconoscere il merito di aver
saputo con le sue preveggenti e sagge cure mantenere in
efficienza l'ingente massa di quadrupedi delle truppe operanti
in Etiopia, e ciò nonostante le mille difficoltà opposte dai
luoghi, dal clima, dalle situazioni, così come non era mai
avvenuto in guerre precedenti. Tale luminosa conferma di una
tradizionale perizia è una sicura promessa per l'avvenire.
E di ciò può particolarmente andare orgoglioso il Corpo
veterinario nel celebrare l'annuale della sua fondazione.
Dopo la conclusione rapida e vittoriosa della guerra etiopica,
si determinò, nell'alto comando dell'Esercito un nuovo
orientamento nel campo strategico e tattico sotto l'influsso
della politica esaltatrice del momento. L'esperienza della
guerra africana, introduceva nuovi concetti sulla «guerra di
movimento» spingendosi verso forme ancor più dinamiche,
sintetizzate nell'espressione «guerra di rapido corso». Si
imponeva quindi nel campo organico l'adozione di grandi unità
più agili e più manovrabili, con funzioni di comando più
semplificate. Dopo approfonditi studi ed ampie consultazioni,
promosse dall'allora Segretario di Stato alla guerra e Capo di
Stato Maggiore dell'Esercito Generale Pariani, si giunse alla
determinazione di trasformare la divisione di fanteria da
ternaria (basata su tre reggimenti di fanteria) in binaria (due
reggimenti di fanteria), rendendola così più agile e incidendo
sulla articolazione della massa ai fini della manovra. Con il
R.D. n. 2095 del 22-12-1938, tappa importante nella evoluzione
organizzativa dell'Esercito italiano, si diede attuazione alle
proposte sopra enunciate ed alla costituzione di nuovi Corpi
d'armata e di nuove divisioni. Questa impostazione aumentava
conseguentemente tutti i servizi dell'esercito, fra cui quello
veterinario che vedeva un ulteriore ampliamento dei propri
organici in tutti i gradi della scala gerarchica. L'ordinamento
del Corpo Veterinario Militare nel 1939 comprendeva: 8
colonnelli, 24 tenenti colonnelli, 48 maggiori, 77 capitani e 77
tenenti.
Ma l'ambizioso programma di rinnovamento dell'esercito, non andò
molto oltre l'aumento del numero dei corpi d'armata e delle
divisioni, mentre rimasero pressoché inalterati gli armamenti e
non si attuò come era nelle previsioni la motorizzazione dei
gruppi ippotrainati, di quelli someggiati e dei reparti
munizioni e viveri dei reggimenti di artiglieria divisionale.
Nel tardo autunno del 1936, appena terminato il conflitto
etiopico, le forze armate italiane si trovano ad affrontare
un'altra impegnativa prova in terra di Spagna. Anche se la
partecipazione al conflitto venne coperta dal volontariato
(tanto che i militari inviati in quel territorio, almeno nei
primi mesi, raggiungevano la Spagna vestiti in borghese) non
poche furono le pressioni esercitate specialmente sugli
ufficiali per indurii a prender parte al conflitto. La
partecipazione italiana fu, all'inizio, modesta, poi si fece
sempre più massiccia, fino a comprendere interi reparti organici
dell'Esercito. Ma oltre all'Italia, tutte le grandi nazioni
d'Europa, più o meno interessate all'avvenire politico della
Spagna, parteciparono direttamente o indirettamente al
conflitto, alcune con le armi, pressoché tutte con il denaro o
con l'appoggio morale e diplomatico.
Le prime truppe italiane giunte in territorio iberico vennero
mascherate sotto la denominazione Missione Militare Italiana in
Spagna (M.M.I.S.) che mutò, nel febbraio del 1937 in Corpo
Truppe Volontarie (C.T.V.). Fra i vari servizi del C.T.V. anche
quello veterinario presente nelle divisioni di fanteria, nella
divisione alpina «Penne nere», nei reparti autonomi salmerie,
negli squadroni di cavalleria, nelle brigate miste «Freccie
azzurre» «Freccie Nere» e «Freccie Verdi» così chiamate poiché
composte da truppe italiane e spagnole. Numerosi gli episodi di
valore e abnegazione compiuti dagli ufficiali veterinari, e
molti i decorati al valore.
Nel giugno del 1938, in concomitanza con la ricorrenza della
fondazione del Corpo Veterinario Militare esce il primo numero
della «Rivista Militare di Medicina Veterinaria» edita dal
comando del Corpo e che si ricollega idealmente raccogliendone
l'eredità tecnico-scientifica, a due riviste «Giornale di
Ippologia» e «Giornale di Veterinaria Militare», che tanti
lusinghieri consensi riscossero, e non solo nell'ambito
militare, per il contributo all'evoluzione ed alle conoscenze
scientifiche negli anni precedenti la fine del XIX secolo.
L'avvenimento viene salutato con calorose espressioni di
adesioni e plauso da tutto il mondo scientifico veterinario e
dall'intera categoria.
Lo scoppio del secondo conflitto mondiale trovò l'esercito in
piena fase organizzativa, con armamento in massima parte
antiquato, con scorte depauperate dalla recente campagna
etiopica e dall'intervento in Spagna e dalla pur brevissima
occupazione dell'Albania. Alla vigilia dell'entrata in guerra
dell'Italia il Corpo Veterinario Militare si presenta in tutta
la sua compattezza ed efficienza. Probabilmente è uno dei pochi,
se non l'unico servizio, a non risentire eccessivamente della
grave situazione determinata dalla penuria di armamenti e mezzi.
La presenza nella compagine dell'esercito di un alto numero di
quadrupedi ancora indispensabili negli oltre 50 reggimenti di
artiglieria divisionale, nei dodici reggimenti di cavalleria,
nelle divisioni alpine, nei reggimenti di fanteria e genio,
impone agli ufficiali veterinari un duro incessante lavoro reso
ancor più gravoso dalle esigenze di rapidi spostamenti in
sintonia con le concezioni tattiche e strategiche della guerra
di movimento. Per sopperire alla penuria di foraggi e di avena,
in massima parte importata dall'estero, già da alcuni anni erano
stati realizzati dei mangimi concentrati di varia composizione
quali l'«Energon», mangime complesso e bilanciato, melassato a
caldo, il «Sintetico» utilizzante solo sottoprodotti delle
industrie alimentari umane, il «Complesso composito» concentrato
di fieno e paglia mangiativa; tutti prodotti in due grossi
stabilimenti militari ubicati a Casaralta e a Maddaloni (CE),
sotto la consulenza tecnica di un gruppo di valenti ufficiali
veterinari e con l'ausilio della sezione bromatologica del
Laboratorio batteriologico veterinario militare, dotato di
un'efficientissimo gabinetto per analisi chimico bromato-logiche
e di una sala campionaria comprendente, oltre a piante foraggere,
i semi, i frutti e i cascami agricoli ed industriali impiegati
nell'alimentazione del bestiame. L'impegno degli ufficiali
veterinari non si limita a seguire la preparazione e la
produzione dei mangimi, ma si estende anche alla progettazione
del macchinario necessario, sempre sotto la feconda guida e la
sagace iniziativa del Malvicini.
La seconda guerra mondiale
Il 10 giugno 1940 è di nuovo la
guerra, ed i veterinari sono chiamati a compiere il loro dovere
con le stellette.
Le ostilità iniziano con il breve ciclo operativo del fronte
occidentale al quale partecipano 130 ufficiali veterinari che
devono assistere i 35.000 quadrupedi dei reparti combattenti e
delle salmerie. Ma ben presto prove molto più impegnative e
drammatiche attendono i veterinari militari allorché si apre,
alla fine di ottobre del 1940 il fronte greco albanese.
La faciloneria e la superficialità dei capi del regime aveva
valutato «utile e facile» l'operazione militare contro la
Grecia, non tenendo alcun conto delle caute e prudenti
considerazioni dei comandanti militari e del suggerimento dello
stesso alleato germanico «di evitare qualsiasi gesto che non
fosse di assoluta utilità». Fu invece una guerra durissima,
durata oltre sei mesi, combattuta in zone montagnose impervie,
in una stagione terribilmente fredda, lungo un fronte di 250
chilometri.
Il mulo tornò ad essere il grande protagonista del momento (come
già lo fu nella prima guerra mondiale) e da lui dipesero la
sopravvivenza e la capacità combattiva dei reparti sulla linea
del fuoco. Tutto fu trasportato sul basto del mulo, dai viveri
alle munizioni, dalla posta ai pochi generi di conforto che
raramente giungevano dall'Italia. Sugli impervi sentieri di
montagna trasformati in torrenti di fango, passarono in un
incessante andirivieni i muli delle salmerie con i loro pesanti
fardelli carichi anche di speranza allorché trasportavano i
feriti ed i congelati provenienti dalla prima linea. Il mulo, il
conducente e l'ufficiale veterinario diventano i primi attori in
questo drammatico e allucinante palcoscenico di guerra,
magistralmente descritto dalla fervida penna del medico
scrittore Giulio Bedeschi. Fu un lavoro incessante, durissimo,
oscuro e spesso addirittura commovente e la ricompensa più
ambita venne dall'incondizionata ammirazione, dalla riconoscenza
e dalla stima di tutti i soldati e principalmente degli alpini.
E non è poco.
Ben 160 furono gli ufficiali veterinari dislocati in Albania ed
impegnati direttamente al fronte o nelle diverse infermerie
quadrupedi divisionali approntate con mezzi di fortuna a ridosso
del fronte, o nei più discosti centri di raccolta, veri e propri
ospedali dove molti preziosissimi e pazienti muli poterono
essere salvati e riutilizzati. Ma allorché cessarono le ostilità
con la Grecia, il contributo dei veterinari militari continuò,
rivolto anche al patrimonio zootecnico greco, insidiato da gravi
forme infettive ed infestive che stavano dilagando in tutto il
territorio ellenico. Un consistente aiuto fu fornito ai
veterinari greci soprattutto in vaccini, sieri, medicamenti,
presidi diagnostici, consentendo così di contenere e combattere
un flagello che altrimenti avrebbe reso ancor più preoccupante
la già grave situazione economica di quel paese.
Non era ancora spenta l'eco delle cannonate sul fronte greco che
si apriva un nuovo scacchiere di guerra nei Balcani. Il 6 aprile
1941, pochi giorni prima della Pasqua, le truppe italiane
attraversavano il confine yugoslavo a nord e a sud, mentre le
truppe tedesche ed alcuni contingenti romeni, bulgari ed
ungheresi, avanzavano dalla Stiria, dalla Carinzia, dalla
Romania, dalla Bulgaria e dalla Ungheria.
Stretto da ogni lato e sotto l'urto combinato delle armate italo
tedesche, l'esercito yugoslavo, dopo breve resistenza,
capitolava dissolvendosi.
L'esercito italiano occupava la Slovenia, la Croazia, la
Dalmazia ed il Montenegro. Dopo un breve periodo di relativa
tranquillità, iniziavano nell'estate del 1941 le azioni di
guerriglia prima limitate, poi sempre più aggressive e
sanguinose, condotte con una determinazione ed una ferocia che
non ebbero riscontro nel resto dell'Europa. Fu uno stillicidio
continuo e logorante, in un ginepraio di odii nazionali,
ideologici, religiosi, in una guerra di tutti contro tutti. In
questo clima di continua tensione, che attanaglia ed angoscia,
sono chiamati ad operare anche gli ufficiali veterinari.
Nei territori occupati vengono approntate 9 infermerie
quadrupedi e numerose sezioni staccate per accogliere i cavalli
ed i muli bisognosi di cure.
L'asprezza del territorio impone ancora l'utilizzo dei muli e
dei cavalli per sopperire a tutte le necessità della guerra. Si
ripete quindi quanto già accaduto in Albania. Gli ufficiali
veterinari devono seguire i reparti nelle grandi operazioni di
rastrellamento o le colonne di salmerie, che il più delle volte
sono gli unici mezzi di collegamento con i reparti che
presidiano questo insidioso territorio. Da ufficiali dei
servizi, i veterinari si trasformano a volte in comandanti di
reparto combattente, allorché cadono gli ufficiali d'arma, e da
veterinari in medici per soccorrere e curare i feriti.
Innumerevoli gli episodi di abnegazione, di sacrificio, di
valore noti ed ignoti, dei nostri valorosi colleghi, coronati da
una medaglia d'oro alla memoria.
Lo scoppio del conflitto fra la Germania e la Russia,
coinvolgeva pure l'Italia che inviava, nel luglio del 1941, un
Corpo di Spedizione (C.S.I.R.) organizzato in Corpo d'Armata e
comprendente fra l'altro due divisioni di fanteria
autotrasportabile, la «Torino» e la «Pasubio» e la 3° divisione
celere «Principe Amedeo» con un totale di 4.600 quadrupedi, e
pure questa volta contro il parere dello Stato Maggiore che
giudicava tale impegno troppo dispendioso e troppo dispersivo
per le nostre provate forze armate, ormai coinvolte su vasti e
lontani scacchieri operativi in contrasto con ogni più
elementare principio di economia di guerra. Ma «more solito», le
ragioni politiche ebbero il sopravvento su ogni razionale
concetto operativo. Fra i servizi del Corpo di Spedizione, anche
quello di Ippica e Veterinaria (Ufficio di Ippica e Veterinaria)
incorporato nell'Intendenza Speciale Est, nome questo subito
dopo mutato in quello di Intendenza del Corpo di Spedizione
Italiano in Russia. Per regolare l'organizzazione ed il
funzionamento dei servizi del Corpo di spedizione, venne
stipulata una convenzione con le forze armate germaniche che
prevedeva anche la possibilità di assistenza veterinaria, con la
fornitura di medicinali veterinari, di avena e di fieno. I
compiti assegnati al servizio di ippica e veterinaria
dell'intendenza riguardavano il rifornimento dei quadrupedi, del
carreggio, delle bardature e dei finimenti, la provvista dei
materiali di veterinaria e mascalcia, la sorveglianza igienica e
sanitaria sui quadrupedi, la cura, lo sgombero e il recupero dei
quadrupedi ammalati o feriti, l'accertamento delle qualità
alimentari delle carni e dei foraggi destinati ai consumi
militari.
La complessa organizzazione del Servizio Veterinario si
articolava poi secondo le direttive già fissate nel 1932, ed
ampiamente riportate in altro capitolo, che prevedevano organi
coordinatori, organi direttivi ed organi esecutivi.
Con la consueta solerzia il Servizio Veterinario organizza le
infermerie quadrupedi ed i posti di pronto intervento, la
raccolta dei mangimi e dei foraggi, e la requisizione dei
cavalli russi, molto adatti per il traino a slitta, destinato a
sostituire qualsiasi altro mezzo durante l'inverno.
Tra gli argomenti meritevoli di particolare menzione si
ricordano le cure profilattiche impiegate in un ambiente nel
quale erano generalmente diffuse la morva, il carbonchio, la
rabbia, la rogna, l'erpete e la pediculosi, malattie infettive
ed infestive facili da contrarre in periodo di operazioni. Nel
mese di marzo del 1942 si verificarono i primi casi di rogna,
fortunatamente isolati e curati presso i vari reparti nei casi
più benigni, mentre i più gravi vennero ricoverati presso la 17a
Infermeria quadrupedi che fungeva pure da convalescenziario e da
infermeria di riserva per tutto il Corpo di spedizione.
L'immediata adozione di tutte le misure profilattiche e curative
limitò il fenomeno a 47 casi curati presso i reparti e a 23
ricoveri all'infer-meria. Ancora nel mese di marzo del '42 fu
effettuata la reazione malleinica per accertare l'eventuale
presenza dell'infezione morbosa. I casi positivi furono 14,
tutti riscontrati nel Reggimento «Savoia Cavalleria» e
conseguentemente l'intero reggimento fu posto in quarantena,
previo l'abbattimento dei cavalli risultati positivi. Notevoli
preoccupazioni al Servizio Veterinario vennero dal sistema di
ferratura a ghiaccio in uso nell'esercito italiano, attuato
mediante l'applicazione di un ferro a ramponi fissi posteriori
ed una grippa a testa anteriore, fissata mediante saldatura, in
quanto non fu spedita dall'Italia, o non giunse a destinazione,
la speciale sostanza usata per la saldatura. Ma l'arte di
«arrangiarsi» era ben conosciuta anche dagli ufficiali
veterinari che studiarono ed attuarono, con mezzi di ripiego,
nuovi ferri da ghiaccio risultati egualmente efficienti ed
utilissimi. Per dieci mesi il C.S.I.R. partecipò a tutte le
operazioni di questo primo momento della campagna in Russia, ma
fu subito evidente la grande disparità di mezzi, di materiale e
di uomini fra le forze belligeranti. Già la prima offensiva
invernale russa aveva scosso le baldanzose speranze dell'«Asse»
di una rapida soluzione del conflitto in questo scacchiere, e
soprattutto il «generale inverno» aveva fatto comprendere tutta
la drammaticità della situazione. Gli italiani debbono
cimentarsi anche con i rigori di un freddo inusitato, e la
rigidezza del clima ucraino con temperature al di sotto dei meno
quaranta, allorché il solo attraversamento di una strada, fra
isba e isba, poteva provocare un congelamento. All'inizio
dell'estate del 1942 il C.S.I.R. diventa XXXI corpo d'armata ed
incorporato nella 8° Armata conosciuta come A.R.M.I.R. Sono
fatte affluire sul fronte russo nuove divisioni e fra queste tre
alpine, la «Tridentina», la «Cuneense» e la «Mia» che verranno
impiegate nelle sterminate pianure del Don, con tutto il loro
seguito di carriaggi e salmerie che faranno elevare il numero
dei quadrupedi da 4.600 a 25.000 unità. Al seguito delle truppe
alpine giungono in Russia altri ufficiali veterinari e pertanto
il numero di questi, compresi quelli già appartenenti al
C.S.I.R. ed alle nuove divisioni di fanteria, raggiunge la cifra
di 130.
Le fasi successive della campagna di Russia sono storia nota, se
n'é scritto molto in proposito, una storia assurda come assurdo
fu tutto ciò che riguardò questo drammatico scacchiere
operativo. Al Servizio Veterinario toccò il compito di salvare
il salvabile, compito assolto a costo di innumerevoli sacrifici,
di strenue sofferenze, di eroismi noti e sconosciuti. Solo 4.000
su 25.000 quadrupedi raggiunsero le zone di riordinamento. Ma il
prezzo pagato dagli ufficiali veterinari per questa impresa
sovrumana fu pesantissimo: 24 colleghi scomparvero inghiottiti
dalla voragine della guerra. Frattanto in Patria il Servizio
Veterinario Militare perfezionava la propria struttura
adeguandola alle impellenti necessità belliche. Venne
intensificata l'attività presso tutti i grossi stabilimenti di
macellazione del bestiame e di preparazione delle carni in
scatola, nei quali gli ufficiali veterinari assicuravano
l'ispezione degli animali macellati, la vigilanza sulle
operazioni delle conserve di carne e i relativi collaudi; si
accentuava la produzione dei mangimi concentrati ormai
indispensabili per l'impossibilità di acquistare dall'estero
l'avena, si provvedeva con alacrità alla requisizione dai
privati dei quadrupedi occorrenti ai nuovi reparti e a
rimpiazzare i vuoti creatisi in quelli al fronte.
Anche l'organico degli ufficiali veterinari in S.P.E. subisce
nel 1942 un ulteriore allargamento, prevedendo ora nella sua
compagine 10 colonnelli, 27 tenenti colonnelli, 54 maggiori, 87
capitani, 85 tenenti. Nuovi giovani, in maggioranza sottotenenti
di complemento, entrano nel servizio effettivo, portando nuova
linfa di entusiasmo e vitalità, e contemporaneamente vengono
promossi ad ufficiale superiore, capitani poco più che
trentenni.
La Scuola allievi ufficiali di complemento funziona a ritmo
serrato, mentre gli studenti di veterinaria vengono per lo più
arruolati nei reggimenti di cavalleria, d'artiglieria a cavallo
od ippotrainata o negli alpini. Da ricordare a questo proposito
che gli studenti del III e IV anno sono riuniti in appositi
reparti nelle città sedi delle facoltà di medicina veterinaria e
obbligati a frequentare il corso di laurea al fine di assicurare
il necessario apporto di laureati all'Esercito. Agli studenti
universitari è inoltre concesso il grado di sergente, dopo un
accertamento di idoneità a ricoprire tale grado. Il 15 aprile
1943 inizia il corso allievi ufficiali che si concluderà il 15
agosto dello stesso anno: sarà l'ultimo nella storia del Regio
Esercito Italiano. A questo corso sono ammessi d'autorità tutti
i giovani laureati con o senza abilitazione, purché idonei al
servizio militare, indipendentemente dalla loro posizione di
militari già sotto le armi o in attesa di compiere gli obblighi
di leva Intanto, fin da giugno del 1940, ai professori
universitari di ruolo delle Facoltà di Medicina Veterinaria,
venne attribuito il grado di maggiore se ordinario o quello di
capitano se libero docente, indipendentemente da quello
precedentemente rivestito (legge 14 ottobre 1940/1633).
D
ati uniformologici 1919-1934
Le uniformi dell'immediato
dopoguerra rimangono pressoché immutate, conservando la
semplicità di quelle usate in guerra: l'uniforme grigio verde è
definitivamente adottata come unica divisa.
Verso la fine del 1918 tutti gli ufficiali indossano il nuovo
cinturone di cuoio marrone con fibbia, campanelle, bottone e
gancio in ottone provvisto di un solo spallaccio ed ispirato
all'originale modello inglese indicato come «cinturone Sam
Browne» dal nome dell'ideatore. Viene inoltre stabilita la
grande uniforme di transizione, composta dalla sciarpa azzurra,
dalle decorazioni metalliche e dai guanti bianchi.
Un'aliquota di ufficiali veterinari prende parte nel 1919/20
alla spedizione in Anatolia ed indossa, per l'occasione, una
particolare giubba con bavero aperto, camicia bianca e cravatta
lunga nera.
Nel 1923 esce il primo organico Regolamento sull'uniforme del
dopoguerra che ripropone alcuni elementi decorativi,
imprescindibili per conferire all'uniforme l'indispensabile
decoro. Nulla di invariato per il berretto che assume però una
forma più marziale ed imponente. La giubba è di tessuto di lana
diagonale o cordellino grigioverde con bottoniera coperta, ha il
bavero dritto di velluto nero su cui i veterinari
applicano le mostrine ad una punta di panno celeste, ed è munita
di quattro tasche esterne, due superiori al petto, e due
inferiori più grandi ai fianchi, chiuse da patte dritte e
provviste entrambe di piegone centrale; le controspalline sono
mobili e filettate di panno celeste; sulle manopole i soliti
distintivi di grado ricamati in argento e al di sopra di questi
il nuovo distintivo di promozione per merito di guerra per chi
ne ha diritto. I pantaloni, dello stesso panno della giubba,
sono guarniti lungo la cucitura esterna di una banda di seta
grigio-scuro rigata al centro da un filetto celeste. Fuori
servizio è concesso l'uso del pantalone lungo, anch'esso con
bande, e munito di sottopiede di elastico. Completano
l'uniforme, il cinturone di cuoio marrone con spallaccio, la
sciabola ritornata lucida nichelata, i guanti di pelle marrone.
Il nuovo regolamento fissa inoltre la grande uniforme
comprendente, oltre alla sciarpa, alle decorazioni metalliche e
ai guanti bianchi, particolari controspalline guarnite di un
cordone di fili d'argento intrecciato a nodi di Savoia per gli
ufficiali superiori, e con screziature di seta turchina per gli
ufficiali inferiori, e che verranno battezzate «zeppetelle» per
la loro rassomiglianza ai tipici dolcetti napoletani. Alla
sciabola, pendagli in tessuto d'argento vergato di seta turchina
e dragona in cordone d'oro secondo il grado e la categoria. Il
Regolamento del 1923 pone fine al periodo di transizione
post-bellico per quanto attiene le caratteristiche e l'uso delle
varie uniformi che vengono così distinte:
— uniforme ordinaria composta da: berretto, giubba con pantalone
corto, gambali o stivali con speroni, cinturone di cuoio
marrone, sciabola con pendagli a dragona di cuoio, guanti di
pelle marrone, cappotto o mantellina nella stagione invernale.
Fuori servizio è concesso l'uso del pantalone lungo;
— uniforme di marcia che si differenzia dalla precedente per la
pistola portata al cinturone e la sciabola agganciata alla
sella;
— grande uniforme composta dalle particolari controspalline,
dalle decorazioni metalliche, dalla sciarpa azzurra, dai
pendagli alla sciabola in gallone d'argento, dalla dragona
dorata, dai guanti bianchi di pelle liscia o scamosciata.
Regolamentate in questo periodo pure le divise degli ufficiali
del Corpo Truppe Coloniali che ricalcano a grandi linee quelle
già in uso prima della guerra. Gli ufficiali veterinari dei
reparti cammellati (meharisti) indossano, nei servizi montati,
particolari capi di vestiario molto adatti alla circostanza:
turbante al posto del berretto, sahariana in sostituzione della
giubba, ampi e lunghi pantaloni stretti alla caviglia detti «sirual»
e scarpette bianche da me-harista «speldri».
Nel 1926 sono stabilite nuove modifiche alla divisa degli
ufficiali. Il berretto è ornato di filetti (montanti) celesti
lungo le cuciture laterali, la cucitura posteriore e l'orlo
inferiore; la visiera ed il soggolo diventano di cuoio nero
lucido. Nel fregio, ricamato in argento, il ton-dino è ora di
panno bianco con al centro ricamata in azzurro una croce. La
giubba ha il bavero di velluto celeste ed i distintivi di grado
sono riportati sulle controspalline. Ai pantaloni, sia corti che
lunghi, bande di panno nero filettate al centro di celeste. Per
la grande uniforme sono ripristinate le spalline metal-liche a
frangia già in uso prima del conflitto mondiale.
Gli ufficiali veterinari vestono ora: — la grande uniforme
militare composta dal berretto (elmetto sotto le armi), giubba
con spalline metalliche, decorazioni, sciarpa azzurra, pantaloni
corti con gambali o stivali e speroni (pantaloni lunghi fuori
servizio e limitatamente alle ore pomeridiane), sciabola con
pendagli d'argento e dragona dorata, guanti di pelle bianca:
— la grande uniforme da cerimonia simile alla precedente con la
variante dei nastrini di decorazioni al posto delle insegne
metalliche e dei pantaloni lunghi:
— l'uniforme ordinaria composta dal berretto, giubba con
nastrini di decorazioni, pantaloni corti con gambali o stivali e
speroni (pantaloni lunghi fuori servizio e limitatamente alle
ore pomeridiane), sciabola con pendagli e dragona di cuoio nero,
guanti di pelle marrone;
— l'uniforme di marcia che prevede il cinturone con pistola, la
sciabola solo nei servizi a cavallo, e l'elmetto in determinate
circostanze. Il 31 gennaio 1929 esce il «Regolamento
sull'uniforme e istruzioni sulla divisa dei R.R. Corpi di Truppe
Coloniali», che modifica le precedenti disposizioni introducendo
sostanziali innovazioni. Le più importanti riguardano
l'ado-zione di una giubba con bavero aperto sia nella versione
invernale che estiva e conseguentemente l'uso della camicia con
colletto rovesciato e della cravatta; il ripristino della grande
uniforme invernale, composta degli stessi ornamenti già in uso
per gli ufficiali dell'esercito metropolitano, e della grande
uniforme estiva dotata di particolari controspalline in gallone
d'argento e cordelline in tessuto d'argento intrecciato a fili
di seta azzurra; l'istituzione della uniforme invernale da
società, differenziata dal colletto della camicia bianca dritto
con punte rovesciate e dalla cravatta di seta nera a nodo corto
e orizzontale (farfalla), dai pantaloni lunghi con calze nere e
scarpe di copale nero.
Nel 1925 vengono ripresi i corsi allievi ufficiali di
complemento presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo.
L'uniforme dei nuovi allievi si ispira a quella indossata dalla
truppa di caval-leria, caratterizzata dal berrettone a due punte
(detto a due pizzi) ornato di filettature celesti e del fregio
rappresentato da una stella di lana nera, soggolo e visiera in
cuoio grigio verde. Al bavero della giubba, di panno nero,
mostrine ad una punta celesti e gallonano d'argento lungo tutto
il bavero. Per gli allievi che iniziano il corso nella seconda
metà del 1926 è adottato, quale copricapo da libera uscita e da
parata, il colbacco dei cavalleggeri e vengono armati della
sciabola da truppa della cavalleria, ora brunita. Poco dopo
anche l'uniforme degli allievi ufficiali veterinari seguirà le
modificazioni introdotte già nel 1926 alla divisa della truppa
mentre il colbacco verrà ornato del fregio del Corpo Veterinario
in metallo bianco e del cordone celeste.
A partire dal 1930 gli allievi ufficiali veterinari di
complemento vestiranno la nuova divisa da libera uscita in
tessuto di lana diagonale o cordelline grigio verde e l'uniforme
interna di servizio sempre in tessuto diagonale, pressoché
identiche a quelle indossate dagli allievi delle accademie
militari e simile all'uniforme degli ufficiali. Unico elemento
differenziale e prerogativa degli allievi ufficiali veterinari
(come pure degli allievi ufficiali medici) un gallonano di seta
nera al berretto identico a quello già portato dagli aspiranti
ufficiali delle armi combattenti durante la guerra. Il gallonano
nero verrà poi abolito nel 1933. In dettaglio l'uniforme da
libera uscita degli allievi ufficiali, si componeva di: berretto
alto a visiera guarnito del gallonano di seta nera ma privo dei
filetti di panno celeste ai montanti ed al bordo inferiore;
giubba di cordellino grigio verde identica a quella degli
ufficiali con l'aggiunta del cordoncino d'argento al colletto;
pantaloni corti grigio verde muniti delle bande di panno nero
filettate al centro da una pistagna di panno celeste; gambali a
stecca e scarponcini alti allacciati anteriormente; speroni,
sciabola da cavalleria modello 71/29 di metallo brunito;
pendagli e dragona di cuoio grigio verde; guanti di pelle
marrone o bianchi, mantellina di panno castorino grigio azzurro.
L'uniforme interna di servizio era composta dal berretto a busta
a due punte, privo di soggolo e visiera, indossato anche dagli
allievi delle accademie d'arma e recante il fregio a stella in
lana nera; giubba simile a quella da libera uscita e
differenziata in alcuni minimi dettagli; pantaloni corti privi
di bande. Nel 1933 viene abolita la mantellina e adottato il
cappotto di panno castorino grigio verde, senza bottoniera
esterna e con ampio bavero rovesciato e da indossarsi
completamente chiuso.
Dati uniformologici 1935-1939
Notevoli e sostanziali modifiche alle uniformi degli ufficiali
sono introdotte a partire al 1° gennaio 1934. Fautore del vento
innovatore è l'allora sottosegretario di Stato alla guerra gen.
Baistrocchi, che aveva intrapreso una vasta opera di riforma
delle forze armate italiane ispirandosi al concetto della
«nazione armata» ed alla necessità di adeguare l'Esercito alle
sempre più incalzanti esigenze di modernizzare le strutture e
l'armamento. Le più importanti novità riguardano l'adozione
dell'«uniforme nera» e dell'«uniforme bianca estiva», ma tutte
le divise subiscono sostanziali varianti.
Per gli ufficiali sono di prescrizione nel 1934 l'uniforme
grigio verde distinta in «ordinaria, grande uniforme, di
marcia»; l'uniforme nera distinta in uniforme da visita, da sera
(con e senza decorazioni), e grande uniforme; l'uniforme estiva
distinta in ordinaria e grande uniforme.
I distintivi di grado, i fregi, i bottini metallici diventano
per tutti d'oro (esclusi i generali ed i carabinieri).
Ed ecco in dettaglio le nuove divise: — Berretto cosiddetto
piatto con visiera e soggolo di cuoio nero verniciato; fregio
ricamato in oro completato, rispetto al preceden-te,
dall'aggiunta sotto la stella di due caducei incrociati;
distintivi di grado a nastro su fondo celeste, limitatamente
però al berretto g.v. — Giubba grigio verde, a bavero aperto
ricoperto di velluto celeste; bottoniera centrale esterna con
quattro bottoni metallici zigrinati recanti in rilievo il fregio
del corpo, quattro tasche esterne munite di bottoncino
metallico, cucitura centrale nella parte posteriore;
controspalline mobili di tessuto g.v. filettate di panno celeste
recanti, al centro, il fregio del corpo ricamato in oro e
bordate da un galloncino in oro per gli ufficiali superiori;
distintivi di grado posti sulle maniche al di sopra delle
manopole di galloncini e galloni dorati applicati su panno
celeste che deve risultare, nel caso di più galloni, solo fra
gallone e gallone (il gallonano superiore forma per tutti un
occhiello ovale). Al di sotto della giubba, camicia bianca e
cravatta nera, oppure camicia grigioverde e cravatta grigio
verde. Nulla di invariato per il pantalone corto g.v., mentre il
pantalone lungo è ora senza bande e senza sottopiede, ma
provvisto di risvolti per cui è indossato con calze nere e
scarpe basse senza speroni. Col pantalone lungo non si porta la
sciabola fatta eccezione che per la grande uniforme g.v. fuori
servizio.
Nella grande uniforme le controspalline di panno g.v. sono
sostituite da speciali controspalline metalliche ad imitazione
tessuto, portanti, applicato ed in rilievo, il fregio del Corpo
ed il distintivo per gli ufficiali superiori. Anche agli
ufficiali veterinari è concessa la bandoliera in gallone d'oro e
cofanetto nero con aquila sabauda in metallo d'argento. Pendagli
della grande uniforme in tessuto d'oro filettato al centro di
azzurro. Nell'uniforme di marcia sempre camicia e cravatta g.v.,
cinturone con pistola e nei servizi a cavallo anche la sciabola,
ed al posto del berretto in particolari circostanze (ad es.
marce di
trasferimento, campi estivi ed invernali) un nuovo copricapo, la
bustina, con fregio rimpicciolito e distintivi di grado sul lato
sinistro, prima in galloni come quelli del berretto a visiera,
poi, dal 1935 sostituiti da stellette. Allorché gli ufficiali
prendono parte in estate ai campi ed alle manovre, è consentito
non indossare la giubba. In questo caso la camicia deve avere le
controspalline semifisse, due taschini riportati e muniti di
patte chiuse da un bottoncino, collocati in corrispondenza del
petto ed i distintivi di grado, pressoché identici a quelli del
berretto a busta, fissati al disopra del taschino sinistro. Deve
inoltre essere sempre portata la cravatta e attorno alla vita,
al di sotto del cinturone, una fascia elastica grigio-verde.
L'uniforme nera, adottata «per rispondere ad esigenze di
adattamento alle consuetudini di società» fu sotto certi aspetti
un ritorno al passato e conferì senza dubbio, nei rapporti di
società, un maggior decoro e prestigio agli ufficiali.
Fondamentalmente si componeva:
— berretto di panno nero identico nella forma a quello di panno
g.v., ma con i distintivi di grado su fondo nero;
— giubba di panno nero, a doppio petto con sette bottoni
metallici per parte e con finte
tasche sul rovescio fermate da due bottoni metallici per parte:
bavero di velluto celeste; controspalline di panno nero foderate
di celeste con fregio e distintivi di grado, manopole a punta di
velluto nero orlate superiormente da filettatura celeste e
chiuse posteriormente da tre bottoncini.
— Pantaloni lunghi neri senza risvolti e provvisti di sottopiede
di cuoio nero e linguetta di stoffa color celeste fermati da due
bottoncini e fibbie di metallo dorato, ornati lungo la cucitura
esterna da una banda di panno celeste larga quattro centimetri
(a questo proposito si ricorda che gli ufficiali delle armi
combattenti avevano doppie bande);
— stivalini interi di pelle lucida senza speroni;
— guanti bianchi;
— sciabola con pendagli e dragona di cuoio nero.
Questa in sintesi l'uniforme nera di visita, da indossare nel
pomeriggio nei soli casi in cui per i civili è di prescrizione
l'abito da visita ossia il tight.
A seconda poi delle circostanze, l'uniforme nera si completava
con altri ornamenti. Ed ecco le prescrizioni:
— Uniforme nera da sera senza decorazioni (quando i civili
indossano il frack) al posto delle controspalline di panno,
spalline metalliche e frangia come quelle precedentemente in uso
ma in oro e con l'aggiunta sullo scudo del fregio del Corpo in
metallo d'argento; alla sciabola pendagli in gallone dorato e
dragona d'oro.
— Uniforme nera da sera con decorazioni (quando queste ultime
sono previste per i civili) come l'uniforme da sera con
l'aggiunta delle decorazioni metalliche e della sciarpa.
— Grande uniforme nera: come la precedente con l'aggiunta della
bandoliera. L'uniforme ordinaria estiva, più semplicemente nota
come uniforme bianca, si componeva dei seguenti elementi:
— Berretto di tela bianca della foggia di quello g.v. con
visiera e soggolo di cuoio nero.
— Giubba aperta di tela bianca ad un petto con quattro bottoni
metallici; finte tasche al petto e ai fianchi orlate di un
gallone di seta bianca foggiato ad alamaro; controspalline di
panno g.v. filettate di celeste recanti oltre al
fregio del corpo i distintivi di grado in stellette.
— Camicia bianca e cravatta lunga nera opaca;
— Pantaloni lunghi di tela bianca con risvolto;
— Scarpe basse bianche di tela o pelle e calze bianche;
— Guanti bianchi di pelle o filo. Era prevista anche la «grande
uniforme estiva» in sostituzione di quella g.v., distinta, da
quella ordinaria, per la sciarpa azzurra, le decorazioni
metalliche, la sciabola con pendagli e dragona in oro ed il
colletto della camicia inamidato.
Come si può notare il corredo dell'ufficiale veterinario in
S.P.E. (servizio permanente effettivo) era notevolmente vario e
soprattutto costoso.
Contemporaneamente e conseguentemente si modificano anche le
uniformi del Corpo Truppe Coloniali che, pur mantenendo la loro
peculiarità, adottano i criteri ispiratori della recente
riforma.
Anche gli allievi ufficiali veterinari indossano nuove uniformi
simili a quelle degli ufficiali soprattutto nel tessuto della
divisa che è di diagonale o cordellino. Ma non si comprende per
quale motivo il fregio sul berretto degli allievi rimase quello
vecchio ossia senza caducei, ingenerando una certa confusione
negli allievi allorché venivano promossi ufficiali. Infatti
alcuni neopromossi si presentavano ai reparti di destinazione
col berretto da allievo sul quale apponevano il gallone ed il
primo impatto con i colleghi d'arma finiva al circolo ufficiali
per la tradizionale «bevuta» a spese del neo ufficiale.
Nel 1935 è riesumato il grado di aspirante ufficiale,
immediatamente inferiore a quello di sottotenente, conferito
esclusivamente agli allievi ufficiali di complemento al termine
del corso e all'atto della nomina ad ufficiale. Il relativo
distintivo di grado è quello da sottotenente, ma vergato al
centro da una striscia di seta nera. Inoltre l'aspirante non
indossa, nella grande uniforme, la bandoliera. Sempre sullo
scorcio del 1935, molti ufficiali veterinari, specialmente di
complemento, partecipano alla campagna etiopica, indossando le
uniformi coloniali adatte al clima torrido delle terre d'Africa.
Tutti gli ufficiali veterinari fanno uso di una particolare
giubba, la cosiddetta «sahariana», molto pratica ed utile
confezionata in tela con colletto basso, chiuso e rovesciato e i
gradi sulle controspalline di panno nero, tipiche degli
ufficiali appartenenti ai corpi delle truppe coloniali (Libia,
Eritrea, Somalia). Una particolarità che può essere sfuggita ai
più, riguarda gli ufficiali veterinari assegnati alle divisioni
camicie nere della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.).
Costituite per l'occasione, le divisioni CC.NN. (camicie nere),
non prevedendo gli organici della M.V.S.N. ufficiali veterinari,
si avvalsero dei veterinari dell'esercito che si distinguevano
dai colleghi per le mostrine celesti al bavero della giubba (gli
ufficiali veterinari non portavano, nell'uniforme coloniale,
questo distintivo), la cravatta nera al posto di quella cachi,
ed il caratteristico pugnale in dotazione agli ufficiali della
milizia.
Dati uniformologici 1940-1943
Le uniformi di tutti gli ufficiali, compresi quindi i
veterinari, si adeguano al clima di austerità imposto dalla
gravita del momento.
Dalla giubba scompaiono tutte le guarnizioni di panno e velluto
celeste, i fregi dorati sulle controspalline, ed i bottoni
metallici sono sostituiti con quelli di osso o frutto color
grigioverde. I distintivi di grado alle maniche sono
rimpiccioliti ed al bavero riappaiono le mostrine celesti ad una
punta.
E adottata inoltre l'uniforme da campagna confezionata in panno
grigio verde da truppa, priva di fronzoli ed ornamenti ad
esclusione dei distintivi di grado, ancora più rimpiccioliti e
trasferiti sulle manopole in corrispondenza dei polsi e non più
in galloni dorati ma ricamati in seta o raion giallo; al bavero
le «pipe» celesti.
I pantaloni dell'uniforme da campagna vengono privati delle
bande nere filettate. Gli ufficiali continuano ad indossare il
cinturone con spallaccio di cuoio marrone.
Ma le esigenze belliche e la vastità dei vari fronti
operativi impongono l'uso dei più svariati
indumenti in aggiunta a quelli di prescrizione.
In Grecia e specialmente in Russia
si adottano
sciarpe, maglioni, cappotti, copricapi e
guantoni foderati di pelliccia, in Africa gli ufficiali
indossano giubbe sahariane di vario tipo,
bustine con visiera e calzoncini corti di tela.
Anche le uniformi degli allievi
ufficiali veterinari
di complemento si adeguano al clima di guerra.
L'elegante divisa in diagonale è sostituita
con l'uniforme di ruvido panno grigioverde
da truppa, mentre sul bavero della giubba
sono apposte le mostrine celesti ad una punta
ed il gallonano dorato degli allievi ufficiali;
al posto dei gambali a stecca, quelli previsti
per i soldati delle armi a cavallo, ossia muniti
di cinghie. Con la uniforme da libera uscita
è conservato il berretto rigido a visiera guarnito
ora del fregio ricamato in oro, già stabilito
per gli ufficiali del Corpo, cioè con i caducei.
Note
Fonte
Ruggero Belogi, "Il Corpo Militare della Croce Rossa Italiana" Edito a cura del Comitato Provinciale della CRI di Bergamo, 1989, pagg. 133-135, pagg. 143-144, pagg. 147-149, pagg. 152-153.