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L'unica vera aggressione le sanzioni

 

 

 

Non c'è amarezza che sia soltanto paragonabile a quella di dover scrivere delle sanzioni contro l'Italia mentre i nostri soldati ci danno la rivincita di Adua e i nostri opera, mostrano, fra lo stupore dei corrispondenti stranieri, che cosa sia la fibra della razza italiana.

Quello delle sanzioni è un capitolo triste e penoso della storia e non solo della S. d. N., ma dell'Europa. Ciò che maggiormente disgusta in questa perfida vicenda non e tanto l'ipocrisia con la quale si difendono, sotto l'usbergo di solenni ideali, degli interessi particolari che nessuno minacciava, quanto la violenza con la quale s è volato ad ogni costo pervenire a quelle conclusioni, che hanno determinato il giudizio contro l'Italia. Rare volte si sono viste così indissolubilmente unite la simulazione e la prepotenza. Solo la consumata esperienza britannica in questo genere di imprese poteva riuscire a tanto.

Non si è voluto tener conto di nessuno degli argomenti, inconfutabili, presentati dall'Italia; non delle inadempienze dell'Etiopia verso gli obblighi in base ai quali fu ammessa a far parte della Società delle Nazioni; non delle sistematiche violazioni di accordi e di trattati stipulati con l'Italia, che durano da quarant'anni; non delle minacce armate che insidiano le nostre colonie e le rendono inefficienti ai fini di qualsiasi espansione, perché nessuna espansione è possibile dove non c'è sicurezza; non delle documentazioni poderose, addirittura incredibili, se non fossero confortate da fotografe, della barbarie abissina, che sevizia pacifiche popolazioni e fa il deserto nel deserto, fino a giustificare il secolare proverbio di quelle contrade: «dove passa l'abissino segue la jena»; non di quelle elementari, inderogabili solidarietà, fra popoli della stessa razza e della stessa civiltà, che non dovrebbero venire mai meno.

Per l'occasione si sono affrettate le procedure, si sono deformate le regole; l'arbitrio ha tenuto luogo della legalità, perché si aveva soprattutto l'ansia di addivenire alla definizione dell'aggressore per passare subito dopo alle sanzioni. Tanta fretta, tanta urgenza, riescono inesplicabili, quando si pensa alla tolleranza dimostrata dalla Società delle Nazioni in altri casi, principalissimi quelli riguardanti il conflitto cino-giapponese e la guerra fra la Bolivia e il Paraguay. Felicissimo e stato il nostro rappresentante Aloisi nel mettere nella dovuta luce questa parzialità della Società delle Nazioni, che pare disporre, a suo piacimento, di cine pesi e di due misure.

Nessuno ha potuto replicare nulla al nostro delegato, tanta era la vigoria della sua dimostrazione. È ben vero che, successivamente, per quelle vie che non sono né ufficiali né ufficiose, perché non possono resistere alla lue del sole, si è cercato di ribattere questi argomenti del barone Aloisi; ma invano. La replica non vale che confortare la bontà, la validità, della tesi italiana. Sennonché sarebbe un peccato defraudarne i lettori.

Per quanto si riferisce al Giappone, si è osservato che la Cina non aveva mai invocato la procedura ginevrina e, in ispecie l'articolo 16 del Patto. Di modo che resta acquisito che un paese può manomettere intere province di un altro paese, membro della Società delle Nazioni, senza andare incontro a nessun fastidio, qualora il paese violentato e mutilato, offeso nel suo diritto e nella sua sovranità, non faccia appello all'articolo 16 del Patto. Per una svista procedurale, per una negligenza di ordine giuridica, milioni di uomini ed estesissimi territori possono passare da un dominio all'altro, senza che la Società delle Nazioni senta il dovere di scomporsi.

Non meno degna di perenne memoria è la giustificazione che si dà dell'inazione delta Società delle Nazioni durante il conflitto fra la Bolivia e il Paraguay. Volete sapere perché Ginevra si astenne da ogni e qualsiasi intervento? Perché fu impossibile veder chiaro! Perché fu impossibile stabilire chi, fra i due, aveva preso l'iniziativa delle ostilità. Ma - s'obietta - non fu il Paraguay, che, un bel giorno, dichiarò la guerra alla Bolivia e la Bolivia non si affrettò a domandare a Ginevra l'applicazione dell'articolo 16? Si risponde: è verissimo; sennonché le cose erano già tanto avanti, le ostilità duravano già da tanto tempo, che sarebbe stato assolutamente arbitrario applicare l'articolo 16 a chi dichiarava una guerra esistente già da molto tempo.

Tale la logica della Società delle Nazioni; questi i suoi metodi, queste le sue procedure. Nel caso speciale dell'Italia non si sono volute salvare nemmeno le forme. Perché? Perché si voleva la «teatralità» e si voleva la teatralità a scopo di politica interno, di politica elettorale inglese. È doloroso constatarlo, più doloroso ancora dirlo; ma questa è la verità. Non si parli di interessi inglesi minacciati, perché Mussolini ha dichiarato cento volte, per via diplomatica e in pubblico, che gli interessi inglesi non sarebbero stati in nessun modo manomessi; che l'Italia avrebbe, anzi, assecondato volenterosamente l'Inghilterra nell'opera grandiosa di civiltà, che dovrà trarre il continente africano dalla preistoria nella storia e che sarà la gloria del secolo ventesimo. Se fossero in giuoco degli interessi vitali, l'ostinazione inglese si potrebbe comprendere, mai giustificare. Viceversa ci troviamo di fronte agli interessi elettorali di un partito, poiché non è un mistero per nessuno che i laburisti si preparavano ad attaccare i conservatori sul terreno della politica estera, facendo perno sulla Società delle Nazioni. È di fronte alla minaccia dei laburisti che i conservatori, rinnegando tutta la loro teoria societaria (si ricordino le idee di Austin Chamberlain sulla Società delle Nazioni, espresse pubblicamente alcuni mesi fa), si sono gettati a capofitto in questa pericolosa avventura. Per conseguire un clamoroso successo elettorale, per battere l'opposizione, era necessario togliere di mano ai laburisti la carta ginevrina. Questo per il pubblico, per la galleria. Nell'orbita interna del partito, giocavano, contemporaneamente, i grandi interessi imperiali, che si dicono minacciati, allo scopo di ricostituire l'unità del partito c promuovere gli armamenti.

È doloroso dover constatare questa perfidia da parte di una nazione cui ci legano tanti antichi ricordi.

Molti, tutti, si domandano giustamente: quale sarà l'effetto delle «sanzioni»? Saranno, esse, veramente operanti? Quando si legge l'articolo 16 del Patto è impossibile sottrarsi ad una impressione di irrealtà. Esso è uno cosa così risolutiva, così tremenda, che appare subito inattuabile per la sua stessa gravità. Non è, né può essere, ne sarà mai, un programma d'azione. Va, piuttosto, riguardato, come una indicazione di possibilità, come una direttiva, variabile a seconda delle circostanze e dei casi. È probabile che si cercherà di attuare le «sanzioni» economiche e finanziarie di volta in volta, caso per caso, allo scopo di creare delle difficoltà all'Italia, cercando, in pari tempo, dì non recare eccessivo incomodo a quegli Stati, che dovranno, di volta in volta, concorrere alla loro attuazione.

Normalmente le esse procederanno senza difficoltà, poiché nessuno dei cinquanta paesi che si sono sottomessi alla volontà inglese, ha il desiderio di mettersi in urto con l'Italia. Sarà l'Inghilterra, che, di volta in colta, si farà iniziatrice, promotrice, di misure più a meno efficaci, dato che una tattica diversa rischierebbe di mettere tutto il mondo contro l'Inghilterra Le sanzioni possono essere, possono diventare un'arma più pericolosa per chi l'adopera che per chi la subisce. Non tutti i casi sono previsti ne prevedibili.

Conviene, invece, tener d'occhio la pressione continua, implacabile, che l'Inghilterra tenta di esercitare sulla Francia. Bisogna aspettarsi ad una rimessa in discussione del Trattato di Locarno. Quando, dieci anni fa, fu firmato il Trattato di Locarno, fu stabilito elle esso non sarebbe entrato in vigore se non il giorno in cui la Germania avesse fatto parte detta Società delle Nazioni. È, infatti, di primaria importanza, la funzione del consiglia della Società delle Nazioni nell'applicazione eventuale di tale accordo. Ma col 21 di questo mese la Germania cessa definitivamente di far parte della Società delle Nazioni. Non è chi non veda l'eccezionale importanza di questo avvenimenti nei riguardi di Locarno e della sicurezza francese. Che cosa significano più i ricorsi al Consiglio dello Società delle Nazioni in caso di aggressione e le raccomandazioni del Consiglio stesso, di cui si parla nel trattato? È vero che lo stesso trattata prevede dei casi di «estrema urgenza», che dispensano dai ricorrere al Consiglio; ma è altrettanto vero che non tutti i casi possono essere od «apparire» urgenti, ferma sempre restando la pregiudiziale originaria, cioè l'adesione della Germania alla Società delle Nazioni perla validità degli accordi.

È una questione complessa e grave, che determinerà indubbiamente una revisione, o, quanto meno, una diversa formulazione degli articoli del trattato. Sarebbe da ingenui immaginare che l'Inghilterra non si gioverà anche di questo mezzo per premere sulla Francia, alla quale si va dicendo insistentemente che questa «prova generale» dell'applicazione dell'articolo 16 è fatta anche nel suo interesse, come quella che può costituire un «precedente» di inestimabile valore, in suo favore. E dire che a Parigi non se n'erano accorti!

 

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FONTI

(*) L'Illustrazione Italiana, anno LXIII, n. 40, 4 ottobre 1936-XIV, pag. 575-576.



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