Le armi

 

Cannone da 149/40 Mod. 35

Materiale di artiglieria d'armata adatto al traino meccanico

a lenta andatura, scomponibile per il traino in montagna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Denominazione

Obice da 149/40

Tipo

Materiale d'artiglieria di armata e da fortezza adatto al traino meccanico

Nazione di origine

Italia

Nazione utilizzatrice

Italia

Produttore

G. Ansaldo & C., Genova

Anno di produzione

1917

Quantità prodotta

-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bocca da fuoco

Con il tubo fodero sfilabile a freddo. Chiusura ermetica ad anello plastico

Congegno di chiusura

Otturatore a vitone tipo  Welin

Affusto

Affusto a due code, movibili in senso orizzontale e verticale. Le ruote sono con anelli semipneumatici. Freno idraulico a rinculo variabile con l'inclinazione. Orecchioni arretrati, ricuperatore idropneumatico, equilibratori. Il complesso, per il tiro, appoggia sul terreno per mezzo della base del suo sottoaffusto; la manovra di abbassamento e di innalzamento del sottoaffusto è semplice e rapida.

 

Origini e sviluppo

Progetto risalente al 1890, fu ideato come miglioramento del cannone 149/23 (denominato all'origine 149G, ossia "in ghisa"): questi, come cannone, era di fatto decisamente corto e poco prestante per l'epoca, essendo infatti, con lunghezza della canna di 23 calibri, al limite inferiore della sua categoria (al di sotto dei 22 calibri si tratta di obici). L'idea era quella di disporre di un pezzo di sufficiente gittata che accompagnasse il suddetto cannone ed il mortaio da 210/8 D.S., che, insieme, formavano la colonna portante dell'artiglieria d'armata.

In quel periodo, erano al vaglio altri progetti riguardanti pezzi campali e da montagna, fra cui il 70A: incredibilmente, 20 anni di studi non portarono ad altro che un semplice affusto rigido (sia per il 149 che per il 70), avendo valutato poco conveniente l'affusto a deformazione (evidentemente a causa della difficoltà di progettazione della complessa meccanica).

Il primo prototipo, realizzato da Arsenale Regio Esercito di Torino (ARET), fu presentato nel 1896 e nel 1899 si ebbero le prime prove a fuoco con una batteria sperimentale. Alla sua omologazione nel 1901, il cannone, allora denominato 149A, risultava già vecchio: dopo ogni sparo, i serventi dovevano rimettere in posizione a mano le 8 tonnellate dell'artiglieria in posizione di tiro, con la conseguente ripetizione di tutte le operazioni di puntamento, peraltro complicate dal fatto che l'affusto era a coda unica e quindi privo di congegni per la regolazione in direzione (ovvero: per modificare il tiro nel settore orizzontale, occorreva spostare tutto il complesso). Inutile dire che questo grave inconveniente riduceva notevolmente la cadenza di tiro: su terreno liscio, poteva retrocedere anche di diversi metri; annullare completamente il rinculo poteva essere però dannoso, in quanto avrebbe causato un elevatissimo tormento degli orecchioni, di tutto l'affusto e della vite d'alzo, rovinando quindi irreparabilmente tutto il sostegno. Si potevano solamente piazzare un pancone alla base della coda e robusti cunei di legno dietro alle ruote che, opportunamente puntellati, riportavano il pezzo nella posizione originaria.

Balisticamente, però, fu un ottimo pezzo, apprezzato soprattutto per la potenza di fuoco e la precisione, meno per la gittata (meno di 18 km), quando i pari calibro stranieri, quasi tutti su affusto a deformazione, sparavano ad almeno 19–20 km.

Ben presto i comandi militari italiani si resero conto delle gravi limitazioni conseguenti all'adozione dell'affusto rigido, per cui avviarono degli studi, in collaborazione con le acciaierie tedesche Krupp, per l'adozione di una culla e di un sistema rinculante per la sola canna: ciò avvenne nel 1911, e nel marzo 1915 erano stati approvati i progetti definitivi, ma l'entrata in guerra del Regno d'Italia contro gli Imperi centrali provocò la cancellazione degli ordini per i nuovi pezzi.

Da alcune fotografie e da un documentario dell'Istituto LUCE sembra che alcuni pezzi da 149/35 A. con freni idraulici (del tipo che armava i forti) siano stati adattati per essere incavalcati su affusti a ginocchiello molto basso; in effetti da molti forti, come quello dello Chaberton, e postazioni, vista la loro inutilità (ad esempio perché posti al confine francese) furono ritirati cannoni e mitragliatrici e non è da escludere che sistemazioni campali siano state effettuate per reimpiegare queste armi.

Il Regio Esercito affrontò così tutta la prima guerra mondiale con il pezzo "vecchio", anzi riavviandone nel 1917 la produzione, semplice ed economica rispetto a quella di pezzi di nuova conduzione. Nel 1918 il Regio Esercito aveva così a disposizione 598 pezzi.

A causa delle difficoltà economiche e sociali del dopoguerra, solo nel 1922 vennero ripresi i progetti precedenti al conflitto da parte dell'Arsenale Regio Esercito di Napoli (AREN), ma fu scartato; l'unica modifica di rilievo consistette nell'applicazione di carrelli elastici che permettessero il traino meccanico a velocità un po' più elevate rispetto al periodo precedente.

Nel 1929 l'Ispettorato di Artiglieria chiese all'Ansaldo, all'AREN (Arsenale del Regio Esercito di Napoli) ed alla OTO di sviluppare un nuovo cannone da 149 mm con cui sostituire i pezzi da 149/35, da 152/45 e da 152/37 (quest'ultimo di preda bellica) risalenti alla Grande Guerra. Mentre l'Ansaldo e l'AREN presentarono i propri progetti, la OTO preferì concentrarsi sull'obice da 210 mm. I due pezzi sperimentali, realizzati nel 1933, dovevano rispondere a numerose richieste di cui le principali erano: una gittata minima di 20 km, un peso in batteria non superiore alle 11 tonnellate, la possibilità di traino meccanico scomposto in due o tre parti, il tempo di messa in batteria non superiore a mezz'ora, eventualmente utilizzando il personale dei due pezzi. Tanto il progetto dell'AREN, un cannone da 149/37 con bocca da fuoco direttamente derivata da quella del vecchio 149/35, quanto quello dell'Ansaldo, un cannone da 149/40, superarono i test, ma la commissione esaminatrice scelse quest'ultimo, che fu provato a Nettunia, tra il dicembre 1933 ed il dicembre 1934. All'inizio del 1935 il progetto Ansaldo fu rinviato a Genova per attuare qualche modifica volta a migliorare la stabilità del pezzo durante il tiro e per ridurre a due il numero di pezzi scomponibili per il trasporto. Nel luglio del 1935, il cannone 149/40 (ufficialmente designato come Cannone da 149/40 mod.35) venne adottato dal Regio Esercito, e venne inviato all'Ansaldo un ordine per l'acquisto di 48 pezzi.

 

Tecnica

 

 

Il cannone 149/40 Mod 35 era fornito di una bocca da fuoco di lunghezza 6 m in acciaio, con l'anima ricambiabile a freddo in un'ora. La rigatura sinistrorsa a passo costante (48 righe) o misto (36 righe); ha diametro della bocca di 149 mm e, nonostante il nome 35, la lunghezza effettiva della canna è di 5464 mm (pari a 36,6 calibri); tale caratteristica è dovuta ad una modifica successiva della canna rispetto ai primi esemplari messi in circolazione senza più modifica al nome; esternamente alla culatta era presente una cerchiatura che portava anche gli orecchioni per il posizionamento della bocca da fuoco.

Il congegno di chiusura della culatta consisteva in un classico otturatore a vitone cilindrico (privo di rigatura), a tre manovre con chiusura ermetica ad anello plastico, mentre l'innesco era a cannello a frizione. Il caricamento avveniva tramite una cucchiaia, che permetteva l'inserimento del proietto nella culatta con un alzo massimo di 20°.

Il sistema di sparo era a percussione a ripetizione, con possibilità di tiro solo nel primo arco (tiro diretto). Il congegno di mira era a cannocchiale panoramico, con alzo e linea di mira indipendenti e dotato di cerchio di puntamento Mod. Cortese.

L'affusto "d'assedio", di tipo rigido in acciaio a coda unica con pedana per i serventi, era a ruote con razze di legno da 1560 mm di diametro e 1480 mm di carreggiata. L'elevazione era regolata tramite un volantino sulla coda dell'affusto, i cui ingranaggi agivano su un settore dentato solidale con la culatta. L'affusto in batteria poggiava su due code ed una piattaforma che formava la base del sottoaffusto, a cui era fissato il carrello di traino, che quindi aumentava la massa del complesso in batteria. Le code potevano essere regolate sia sul piano orizzontale sia su quello verticale, permettendo quindi al pezzo di adattarsi al terreno, conservando comunque la verticalità dell'affustino. Le estremità delle code terminavano con due portavomeri, imperniati in modo da permettere il migliore adattamento al terreno. L'affusto era composto dalla culla, dalla slitta col freno di rinculo e recuperatori e affustino. Gli orecchioni erano anteriori alla culla. Il brandeggio della bocca era ottenuto facendo ruotare l'affustino sul sottoaffusto, tramite volantino, mentre l'elevazione era ottenuta tramite due settori dentati e rocchetti, che agivano su una ruota elicoidale. Togliendo le casse dei vomeri l'affusto poteva essere ruotato a 360°, permettendo così libertà di manovra ai veicoli di traino, che non erano costretti ad allineare il pezzo con la piazzola. 

 

Traino

 

Il traino avveniva in due carichi, uno con il carrello affusto che trasportava l'affusto stesso con code e vomeri ed uno con il carrello cannone, che trasportava la bocca da fuoco e la relativa slitta. Il traino, in particolari condizioni favorevoli ed a bassa velocità, poteva essere fatto anche con un carico unico. Il pezzo poteva essere anche scomposto in quattro carichi per il traino in montagna.

Per facilitare il traino e per contenere il rinculo, negli anni precedenti alla guerra sui battistrada delle ruote vennero installate le "rotaie a cingolo" brevettate dal capitano italiano Crispino Bonagente. Visibili in quasi tutte le fotografie di pezzi d'artiglieria di molte nazioni coinvolte nella Grande Guerra, i cingoli "Bonagente" erano formati da 12 piastre rettangolari unite da 12 elementi su ogni ruota, che allargavano il piano d'appoggio delle ruote permettendo il transito su terreni soffici e cedevoli e soprattutto rendendo superfluo l'impiego delle pesanti piattaforme di legno (dette paioli), sulle quali venivano messe in batteria le artiglierie d'assedio. Altre dotazioni erano i cunei ed il pancone. I cunei erano due piani inclinati, più grandi di quelli usati con la piattaforma, che venivano posizionati circa un metro e mezzo dietro alle ruote. Al momento dello sparo il cannone rinculava sui due cunei, che grazie al suo peso ne frenavano la corsa, esaurita la quale il cannone per gravità tornava nella posizione di partenza. Il pancone era una sorta di slitta in legno e metallo posizionata sotto alla coda dell'affusto; esso accompagnava la coda nel rinculo evitando, di concerto con i cunei, il disallineamento del pezzo; contemporaneamente, per attrito, ne frenava la corsa retrograda.

Il traino meccanico (tramite trattrice Pavesi-Tolotti Tipo B o Breda TP32) era effettuato tramite un avantreno, previo arretramento della canna sulle orecchioniere "di via" situate sulla coda dell'affusto, in modo da spostare indietro il baricentro, tra la sala dell'affusto e quella dell'avantreno. Sui percorsi lunghi era eseguito scomponendo il pezzo e caricando la canna su un rimorchio trainato da trattrice e l'affusto su un altro rimorchio trainato da autocarro.

La batteria da 149/35 Mod. 1901 era composta, negli anni Trenta, da 4 cannoni, 4 trattori d'artiglieria, 10 autocarri, 10 rimorchi e 2 mitragliatrici per la difesa ravvicinata del pezzo. Su strada la batteria si estendeva per 400 metri e si muoveva a 6-8 km/h. 

 

Impiego

 

Il cannone da 149/35 fu ampiamente utilizzato durante tutta la prima guerra mondiale; ne furono perduti molti pezzi durante la ritirata da Caporetto, ma i vuoti furono ricolmati entro la battaglia di Vittorio Veneto.

Fra gli anni 1920 e 1930 furono inviati solamente in Spagna con il Corpo Truppe Volontarie, durante la guerra civile, in ragione di appena 6 pezzi. Il loro invio in Etiopia fu evidentemente scartato in quanto non necessario, contro un esercito che non disponeva che di pochi pezzi leggeri.

La maggior parte dei pezzi fu destinata ad operare nei raggruppamenti d'artiglieria da posizione della Guardia alla frontiera (GaF): al 10 giugno 1940, data dell'entrata in guerra dell'Italia, si contavano infatti più di 60 batterie a disposizione dei reparti di confine; nel complesso si contavano ben 870 cannoni, di cui 28 dotati di installazione particolare in torrette corazzate. I cannoni da 149/35 (in particolare quelli in carico alla batteria dello Chaberton) intervennero contro le truppe francesi durante la Battaglia delle Alpi Occidentali, ma il più delle volte l'impiego di proietti convenzionali non perforanti non permetteva di aver ragione delle fortificazioni transalpine. Sempre inquadrati nella GaF, svariati pezzi operarono contro la Grecia e la Jugoslavia: si contavano 72 pezzi all'aprile 1941.

Poiché la distribuzione dell'Ansaldo 149/40 Mod. 1935, destinato a sostituire il Mod. 1901, era lungi dall'essere completata, nel 1940 il pezzo era ancora in carico all'artiglieria d'armata. L'impiego del pezzo era previsto per le azioni dell'artiglieria di armata, quindi per l'interdizione lontana (controbatteria, spianamento e repressione), tuttavia, considerando la mancanza di trattori adatti, inizialmente, nel settembre 1940, il pezzo fu assegnato al XXXIII gruppo, con la funzione di artiglieria costiera.

Numerose batterie furono dislocate anche in Libia, per un totale di 48 bocche del 5º Raggruppamento d'artiglieria d'armata e 37 appartenenti alla GaF e dislocate soprattutto come difesa delle piazzeforti più importanti (Tobruch, Bardia, Tripoli).

Nel 1941 furono costituiti tre gruppi mobili (XXXI, XXXII e XXXIV) su tre batterie ed un reparto logistico. Nell'aprile 1941 il XXXIII gruppo fu motorizzato ed inviato in Jugoslavia alle dipendenze della 2ª Armata.

Nel gennaio 1942 figuravano ancora 46 cannoni ed almeno 16 parteciparono alla disperata difesa della Tunisia dal febbraio 1943, nonostante i numerosi rovesci e i continui spostamenti del fronte; talvolta furono talmente veloci, come durante l'operazione Compass, che i britannici non facevano nemmeno in tempo a recuperare i cannoni abbandonati (tra l'altro di calibri diversi dai loro standard) né a manometterli, cosicché gli artiglieri italiani li ritrovavano esattamente al loro posto.Per quanto riguarda la madrepatria, il cannone da 149/35 fu utilizzato per la difesa costiera, come in Sicilia (analogo ruolo svolsero in Albania, Francia, Grecia, Dalmazia e nel Dodecaneso italiano), per un complesso di 16 gruppi completamente armati ed efficienti al giugno 1943. 

 

Il Fronte africano settentrionale 

 

Batteria di 149/40 in Libia

Il XXXIII gruppo fu assegnato nel giugno 1941 all'8º raggruppamento d'artiglieria d'armata, con il LII gruppo (152/37) e CXXXI e CXLVII (entrambi su 149/28). Il raggruppamento arrivò in Libia a partire dall'ottobre 1941, e fu assegnato al XXI corpo d'armata. Lo schieramento fu studiato in modo tale da poter colpire, utilizzando la massima gittata dei pezzi, il porto di Tobruk, ma, appena presa posizione, il raggruppamento fu costretto a contrastare l'offensiva britannica del 21 novembre, tanto che il 23 novembre, dopo che due pezzi da 149/40 erano stati messi fuori uso dalla controbatteria nemica, fu ordinato il ripiegamento dell'intero raggruppamento che, comunque, già dal 26 novembre riprendeva le azioni di fuoco sulla cinta fortificata di Tobruk, con azioni che continuarono fino all'esaurimento delle munizioni il 6-7 dicembre. Il ripiegamento su Ain el-Gazala, lungo la via Balbia, si prolungò fino a Derna ed el-Agheila.
Con la controffensiva del gennaio 1942 seguì il Corpo di manovra in Cirenaica, appoggiando con le proprie batterie sia la Divisione "Trieste" sia la Divisione "Ariete", infine nel marzo- aprile 1942 il gruppo fu assegnato tatticamente alla Divisione Brescia (X Corpo d'armata). In maggio, in vista dell'offensiva di Gazala, il XXXIII gruppo passò alle dipendenze del XX Corpo d'armata, il 20 giugno fu impegnato contro le fortificazioni di Tobruk ed il 26-28 dello stesso mese fu impegnato contro Marsa Matruh, sotto gli attacchi della RAF che distrusse due trattori.

In luglio il gruppo raggiunse El Alamein, dove combatté praticamente quotidianamente, operando anche, il 10 luglio, a tiro diretto contro reparti meccanizzati britannici. Nella terza battaglia di El Alamein il XXXIII gruppo combatté fino al 28 ottobre, quando la linea pezzi fu raggiunta dai corazzati nemici, che vennero ricacciati indietro da un contrattacco della Divisione "Littorio". A partire dal 1º novembre il gruppo operò con la 90ª Divisione leggera tedesca, ma, al termine della ritirata, il 1º dicembre a Sirte, era ridotto a due batterie in scarse condizioni di efficienza. Le condizioni del gruppo peggiorarono ulteriormente, tanto che a fine dicembre restavano solo due cannoni efficienti, saliti a quattro grazie ad interventi di riparazione, rimasero in linea, sia pure con meno di un'unità di fuoco di munizioni.


Il Fronte russo


Il XXXI gruppo, costituito nell'agosto 1941 su tre batterie (92ª, 93ª e 94ª), fu assegnato al 9º raggruppamento di artiglieria d'armata nel maggio del 1942 e nel luglio dello stesso iniziò il trasferimento a Nikitovka, alla fine di agosto la 93ª batteria fu sostituita dalla 177ª, su obici 210/22. Il 3 ottobre il gruppo passò alle dipendenze del 2º raggruppamento d'armata.
Il XXXII gruppo fu costituito nel febbraio 1942 ed assegnato al 9º raggruppamento, a metà luglio fu schierato sul fronte del Don. Il 20 settembre passò alle dipendenze del XXIX corpo d'armata tedesco. Successivamente venne assegnato come rinforzo al Corpo d'Armata alpino.
IL XXXIV gruppo, costituito nel febbraio 1942 su 89ª, 90ª, e 94ª batteria venne assegnato al 9º raggruppamento fu trasferito in luglio in Russia ed assegnato al XXXV Corpo d'armata.
L'impiego dei tre gruppi nel corso dell'inverno fu pesantemente condizionato dalla penuria di carburante, sebbene fosse stato emanato l'ordine esplicito di conservare almeno 100 km di autonomia "intangibile". Inoltre l'eccessivo diradamento delle batterie, strettamente legato alla lunghezza eccessiva del fronte da difendere rese problematica la manovra di fuoco delle artiglierie.

 

Munizionamento

 

Il munizionamento del 149/35, a cartoccio e senza bossolo, era il seguente:

 

  • granata monoblocco da 149/35: corpo bomba in acciaio, carica in miscela binitrofenolo-tritolo (MBT) o miscela nitrato ammonico-dinitronaftalina-tritolo (siperite o MNDT) o miscela schneiderite-tritolo (MST), peso: 37,93 o 36,24 o 37,1 kg a seconda dell'esplosivo usato

  • granata da 149/35 inglese modificata: corpo bomba in acciaio, carica in tritolo o MST, peso: 41,45 o 42,8 kg

  • granata da 149/35 inglese originale: corpo bomba in acciaio, carica in tritolo o MST o liddite, peso: 42,2 kg

  • granata di ghisa acciaiosa da 149/12-35: corpo bomba in ghisa acciaiosa, carica in miscela acido picrico-tritolo (MAT) o MBT o MNDT, peso: 38,45 o 37,52 kg

  • granata da 149/35 Mod. 32: corpo bomba in acciaio, carica in tritolo, peso: 42,527 o 42,498 kg

  • shrapnel da 149/12-35: corpo bomba in acciaio, carica con pallette di piombo-antimonio, peso: 42,35 o 43 kg

  • granata a d.e. (doppio effetto) da 149/35: corpo bomba in acciaio, carica in tritolo, peso: 45,117 kg

 

Dati numerici principali

 

Cannone

Lunghezza totale

-

Rigatura

-

Peso del cannone

-

Affusto

Altezza del ginocchiello

mm. 1500

Settore orizzontale di tiro

60°

Settore verticale di tiro

0°  + 45°

Lungh. Totale del pezzo in batteria

mm. -

Lunghezza di rinculo massimo

mm. -

Carreggiata

-

Diametro delle ruote

mm. 1300

Peso del pezzo in batteria (con scudi)

Kg. 11300

Velocità iniziale proietto

m. 800

Gittata (massima)

m. 22000

Someggio e traino

Il traino meccanico viene effettuato su due vetture (molleggiate e provviste di semipneumatici) trainate dal trattore pesante Mod. 32, alla velocità consentita da quest'ultimo. La manovra si compie in 20 minuti.

Peso della vettura affusto kg. 6540

Peso della vettura cannone kg. 7800

Peso del traino su un'unica vettura kg. 11800

Ingombro max laterale (al traino) mm. 2100

Ingombro max del pezzo in batteria: longitudinale mm. 5500 laterale mm. 6400

Velocità oraria stradale

km/h 30

Profondità della colonna della batteria

m. -

Tempo della messa in batteria

12 minuti

Cariche di lancio

-

Munizionamento

(dati al 1938)

Granata da 70

Di acciaio – peso del cartoccio granata kg. 4,840 – carica di tritolo fuso

Shrapnel da 70

Di acciaio – peso del cartoccio shrapnel kg. 4,900 – con pallette di piombo e antimonio

Celerità di tiro

Normale

1 colpo al minuto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte

F. Grandi, "Dati sommari sulle artiglierie in servizio e sul tiro", Ed. fuori commercio, 1934.

F. Grandi, "Le armi e le artiglierie in servizio", Ed. fuori commercio, 1938.

Wikipedia