Storia delle Unità
La Milizia nella difesa dell'A.O.I. 1940-1941 (*)
Operazioni nell'Amhara
La difesa (comandante il Generale Nasi) si era dovuta restringere raccogliendo l'insieme delle truppe in vari ridotti fondamentali.
Il totale delle forze a disposizione era il seguente: 17.000 nazionali e 23.000 coloniali ripartiti in 12 battaglioni nazionali, 15 battaglioni coloniali o gruppi bande, 3 squadroni, 4 batterie someggiate coloniali, 3 sezioni controaeree, 16 batterie da posizione. Nessun aereo.
L'organizzazione difensiva è così distribuita: due ridotti staccati ed un ridotto centrale.
1) Ridotto di Uolchefit-Debarech: costituito da due battaglioni CC.NN. (CXLI e CLXIV), due gruppi bande, 7 cannoni, 1 sezione mitragliere da 20, 4 mortai da 81, 12 mitragliatrici (oltre quelle dei reparti).
Totale 5.000 uomini circa (servizi compresi). Comandante; Ten. Col. Mario Gonella.
2) Ridotto di Debra Tabor: costituito da: 3 battaglioni CC. NN. (CXVI - CXXXI e DCCXLV), un battaglione coloniale, un gruppo bande, 6 cannoni, 2 mortai da 81. In complesso 6.000 uomini. Comandante: Col. I. Angelini.
3) Ridotto Centrale: per la piazza di Gondar e Azozò, con 4 capisaldi esterni:
Blagir-Celgà. C.te: Ten. Col. Domenico Miranda.
Tucul-Dinghià. C.te: Ten. Col. Riccardo Casalone.
Ualag C.te: Col. Alberto Polverini.
Culqualber-Fercaber. C.te Ten. Col. Augusto Ugolini.
La resistenza del sistema difensivo dell'Amhara non sarebbe stata possibile nel periodo luglio-novembre senza le tempestive ed intelligenti misure adottate per protrarre le autonomie logistiche oltre il limite massimo che era stato previsto per il 15 giugno. Primo provvedimento adottato fu quello dello sgombero dei civili (donne, bambini ed invalidi) su Asmara.
Furono impiantati laboratorio che, utilizzando rottami e materiale fuori uso, provvidero alla fabbricazione di parti di ricambio per artiglierie ed armi leggere; per risparmiare carburante si utilizzarono mezzi a trazione animale.
Con tessuto di agave si improvvisarono finimenti e tasche per biada, con la tela di agave a trama fitta si prepararono ghirbe e ghirbette someggiabili. Sei caterpillar furono trasformati in carri armati, con corazzatura di vecchie foglie di balestra resistenti almeno ai colpi di fucile e di mitragliatrice; un 634 fu attrezzato ad autoblindo gigante con 13 mitragliatrici fra leggere e pesanti.
In campo sanitario vennero moltiplicate le possibilità di ricovero e fu preparato al reimpiego materiale che in tempi normali sarebbe stato messo fuori uso. All'insufficienza di alcool disinfettante si provvide con benzina depurata mediante speciale processo chimico.
La razione vitto giornaliera fu ridotta del 20-30°%. La farina di grano sempre più scarsa fu gradualmente sostituita con quella di ceci e cereali vari. Furono costituite adeguate scorte di bestiame, si impiantarono orti e allevamenti suini; si costituirono squadre di specialisti per la costruzione di attrezzi per la pesca nel lago Tana; alla deficienza di carne bovina si provvide con la macellazione di cavalli e muletti fiaccati.
Per fronteggiare le gravi deficienze in fatto di vestiario si escogitarono ogni sorta di adattamenti: 4.000 federe di tela di canapa furono trasformate in 6.600 giubbe, diecimila coperte furono ricavate da quelle fuori uso; si ripararono 5.000 paia di scarpe, si fabbricarono 2.000 paia di sandali per gli ascari. La Milizia forestale fornì il quantitativo di legna e carbone per il fabbisogno mensile. In complesso i risultati ottenuti superarono ogni più ottimistica previsione. Il soldato italiano, abituato alla scarsezza dei mezzi, aguzzò come sempre il cervello ed il fatidico verbo « arrangiarsi » ebbe la sua più grandiosa e gloriosa applicazione col sacrificio e la buona volontà di tutti.
Attacco al ridotto di Blagir-Celgà.
Fu preceduto, nel febbraio e nell'aprile, da nostre azioni offensive contro i ribelli, che furono ricacciati lontano.
Il nemico attacca il 16 maggio e prosegue l'azione il 17 e il 18. Dopo epica lotta, assalti e contrassalti, il nemico è rigettato con gravi perdite.
Perdite nostre: 900 uomini. L'avversario non tenterà più nessun assalto al ridotto fino al termine delle operazioni in A.O.I.
Attacco al ridotto di Debra Tabor. (Btgg. CC.NN. CXXXI, CXVI, DCCXLV).
Il primo attacco ha luogo il 15 maggio; sono ribelli comandati da ufficiali inglesi e vengono nettamente respinti. Gli ascari, sfiduciati e convinti della inutilità di una resistenza prolungata, chiedono di poter tornare a casa per evitare le vendette dei ribelli che sono, solo lì attorno, 8.000.
Il 27 giugno nuovo attacco con concorso dell'aviazione, anche questa volta respinto mediante deciso contrattacco; l'azione si ripete con lo stesso risultato nei giorni successivi. Ma aumenta la crisi nei reparti coloniali disposti alla resa o alla diserzione, tanto da consigliarne il disarmo.
In conclusione il ridotto è costretto alla resa per farne il 4 luglio e la sua funzione ritardatrice viene assunta dal ridotto di Culqualber-Fercaber.
Attacco al ridotto di Uolchefit - Debarech.
Il presidio di questo ridotto era costituito dai seguenti reparti:
- CXLI Btg. CC.NN., con 530 uomini;
- CLXIV Btg. CC.NN., con 650 uomini, al comando del 1° Sen. Luciano Gavazzi;
- II Gruppo Artiglieria mista;
- Gruppo Bande dell'altipiano, con 1.500 indigeni;
- Gruppo Bande dell'Amhara, con 750 indigeni.
Comandante del caposaldo era il Ten. Col. Mario Gonella.
Già tra il 10 ed il 12 aprile 1941 si verificò la defezione dei Ras Hayaleu Burrù che si mise alla testa dei ribelli della zona coi quali si ebbero immediatamente vivaci scontri nei giorni 12 e 13. I1 18 aprile l'organizzazione del ridotto poté già considerarsi completata, ed erano già stati fermati gli elementi meccanizzati inglesi provenienti da Asmara. Il nemico si sistemò nella zona di Debivar, piazzò le artiglierie ed iniziò il quotidiano bombardamento del ridotto. I nostri rispondevano con parsimonia per non consumare lo scarso munizionamento.
Il 28 e 29 maggio i ribelli furono ricacciati di slancio, con gravi perdite, dall'abitato di Debarech che erano riusciti ad occupare. Disagi, sacrifici e fatiche non piegavano i difensori nazionali, ma riuscivano ad incrinare la fiducia dei reparti di colore; cominciavano a verificarsi diserzioni e richieste di gregari per essere lasciati in libertà di rientrare alle loro case. Questo stato d'animo avrebbe avuto gravi conseguenze se non fosse stato abilmente arginato dall'opera persuasiva del comandante e dei quadri. Ne è prova l'azione svolta vittoriosamente il 22 maggio, dopo un'irruzione avversaria, da due compagnie di CC.NN. e da due gruppi bande, in uno dei quali maggiore si era manifestata la crisi morale.
L'azione fu sferrata dalle CC.NN. contro una posizione difesa da 1.500 armati agli ordini del Ras Hayaleu Burriz; le formazioni ribelli furono sbaragliate e volte in fuga, il ras, ferito, fu catturato e, fra i 336 morti nemici trovati sul terreno, fu rinvenuto anche suo figlio. Nostre perdite: 42 morti e 102 feriti.
Altra puntata offensiva del presidio di Uolchefit fu effettuata il 13 luglio; all'avversario furono inflitte gravi perdite e furono catturati cereali e bestiame. Intanto il caposaldo veniva continuamente sottoposto a terrificanti bombardamenti da terra e dalla aria ed il 19 luglio il comando inglese, venuto a conoscenza che il presidio non aveva quasi più viveri né poteva riceverne, inviava al colonnello Gonella un secondo messaggio con intimazione di resa, sdegnosamente respinto.
Il 1° agosto, con una colonna di 800 CC.NN. e di un piccolo reparto di ascari, il comandante andò in cerca del nemico a Monte Girambà ed a Zuriè, difesi da diecine di mitragliatrici inglesi. La vittoriosa azione, oltre che ad infliggere severe perdite all'avversario, servì a rialzare il morale dei coloniali, scossi dall'esempio e dal successo.
Nostre perdite:
Caduti: Ufficiali 2 - CC. NN. 20 - Coloniali 1.
Feriti: Ufficiali 1 - CC.NN. - 38 - Coloniali 3.
Il logoramento fisico produceva intanto immancabilmente i suoi deleteri effetti: scarsezza di viveri, sofferenze, sforzi fisici, sbalzi termici a 3.000 metri di altitudine, casi di sfinimento e di deliquio. Un nostro posto avanzato fu sopraffatto in breve tempo il 26 agosto, ed i superstiti catturati; questo ed altri sintomi confermavano che il presidio di Uolchefit, per quanto sorretto da eccezionali forze spirituali, era fisicamente logoro.
Ciononostante, miracolosamente, una volta ancora un battaglione di legionari ed i due Gruppi Bande attaccavano le posizioni nemiche il 18 settembre allo scopo di procurare viveri e munizioni. Dopo un violento e sanguinoso scontro al passo Ciank, raggiunto sfruttando abilmente la nebbia, il nemico era sbaragliato e venivano catturate armi, munizioni e medicinali, ma purtroppo non viveri o bestiame.
La fame era alle porte ed essa piega qualsiasi proposito di ulteriore resistenza: quando ogni scorta è esaurita la capitolazione è ormai inevitabile. Tuttavia questi due battaglioni di CC.NN. (CXLI e CLXIV), senza ripari, con le uniformi a brandelli, minacciati dallo scorbuto, tennero testa per quasi sei mesi agli attaccanti e spesso li batterono dimostrando al mondo cosa possano e sappiano fare gli italiani, anche in condizioni di impossibile inferiorità, quando sono sorretti dall'amore per la Patria.
Il 25 settembre, spronati dal tormento della fame, gli assediati facevano un ultimo tentativo giungendo col loro assalto fino all'abitato di Uogherà, dove sbaragliavano e mettevano in fuga indiani, sudanesi ed abissini. Ma non trovarono nulla e da quella stessa località, con l'autorizzazione del Generale Nasi, chiedevano all'avversario di cessare la lotta.
Il 28 settembre dopo 165 giorni di eroica battaglia, il presidio di Uochefit-Debarech ammainava il tricolore insanguinato al quale gli inglesi rendevano gli onori militari.
Erano stati sostenuti 30 scontri, in combattimenti difensivi ed offensivi; erano state inflitte al nemico perdite valutate in mille morti e tremila feriti, erano stati catturati oltre 600 fucili, molte munizioni e molti materiali. Si erano subite 93 incursioni aeree con lancio di 5.500 bombe, molti spezzonamenti e mitragliamenti aerei ed incassati 14.000 colpi di artiglieria.
Perdite nostre complessive:
Ufficiali: caduti: 8 - feriti: 9.
Nazionali: caduti: 86 - feriti: 117.
Coloniali: caduti: 280 - feriti: 450.
Uolchefit-Debarech resta un simbolo di eroica strenua difesa oltre ogni limite di possibilità umana e militare ed anche una gloria imperitura per i reparti di CC.NN. che vi parteciparono.
Questo ridotto, costituito dai caposaldi di Cualqualber e di Fercaber, (di cui il primo a sbarramento della Sella omonima sulla strada Debra Tabor - Gondar ed il secondo sul passo di Fercaber, presso il Lago Tana) ai primi di agosto del 1941 aveva una forza complessiva di circa 2.900 uomini, 2.100 nel primo e 800 nel secondo, tra nazionali e coloniali.
Del caposaldo di Culqualber facevano parte:
il CCXL Btg. CC.NN. (675 legionari, al comando del Seniore Alberto Cassòli, divisi in 5 compagnie);
il I Btg. CC.RR. mobilitato dell'A.O.I. (200 nazionali e 160 eritrei, al comando del Maggiore Serranti. (il Btg. arrivò il 6/8);
il LXVII Btg. coloniale (620 uomini su 4 compagnie al comando del Maggiore Carlo Garbieri);
la 43a batteria nazionale su 3 pezzi da 77/28 (40 uomini);
la 44a batteria coloniale su 2 pezzi da 70/15 (314 uomini);
il plotone misto del Genio (65 nazionali e 23 coloniali);
un ospedaletto da campo (con 2 medici ed l cappellano);
Del caposaldo di Fercaber facevano parte:
il XIV Btg. CC.NN. (su 5 compagnie, al comando del Sen. Lasagni);
la la batteria nazionale, su 3 pezzi da 70/15;
la 6a compagnia mitraglieri coloniale:
un plotone del Genio;
un ufficiale medico ed 1 cappellano,
I due caposaldi erano riuniti in un unico ridotto comandato dal Ten. Col. Augusto Ugolini. Le forze del ridotto si erano sistemate a difesa sui due passi dopo la caduta di Debra Tabor. (6 luglio 1941).
Il Ten. Col. Ugoliní, comandante di grande tempra e con una lunga esperienza coloniale, aveva saputo amalgamare le forze ai suoi ordini fondendole in un unico blocco determinato a resistere fino all'impossibile.
Il ridotto fu rafforzato con estenuanti lavori di tutta la truppa in modo tanto intelligente ed efficiente, da poter sopportare, come sopportò, coi suoi posti di blocco, colle sue trincee e piazzole, ai terrificanti bombardamenti da terra e dal cielo, durati per mesi, fino all'ultimo, ininterrottamente.
Fin dai primi d'agosto la zona a Nord del ridotto fu invasa dai guerriglieri che tendevano a troncare le comunicazioni con Gondar e con esse l'afflusso dei rifornimenti. Il Ten. Col. Ugolini con efficaci puntate offensive partenti dal ridotto, cercava di tener libera la strada. Uno di questi animosi attacchi ebbe l'onore della citazione sul bollettino delle FF.AA. n. 434.
Un ultimo rifornimento, per il quale si scatenò una violenta battaglia, costò ai difensori del ridotto dure perdite per poter far giungere il 24 agosto a Culqualber pagnotte e granaglie.
Il comandante decise di dare, il 3 settembre, un colpo di arresto alla pericolosa crescente attività dei ribelli effettuando un colpo di mano con l'impiego di 3 compagnie di ascari e 2 compagnie di CC.NN.; tutte le forze erano poste agli ordini diretti di Ugolini e di Garbieri.
Le compagnie, riuscite a giungere di sorpresa nella notte agli accampamenti abissini, si lanciarono furiosamente all'assalto abbattendo circa 300 nemici, mettendo il campo a ferro e fuoco e catturando un grosso bottino di armi, munizioni e bestiame. La risposta inglese fu immediata, dopo il trionfale rientro degli italiani nel ridotto, e si realizzò sotto forma di un intenso tiro di artiglieria e con continue incursioni aeree purtroppo incontrastate per la mancanza di aviazione e di artiglierie contraeree da parte nostra.
Cominciarono a farsi difficili anche i rifornimenti di acqua.
Il 28 settembre, con la caduta del ridotto di Uolchefit, le possibilità di un attacco nemico a fondo contro Culqualber aumentarono sensibilmente. I difensori, con la forza della disperazione, malgrado la denutrizione e le malattie, continuarono i lavori per il rafforzamento delle difese.
Smunti e sporchi, terribilmente indeboliti, carabinieri, artiglieri, CC.NN. genieri ed ascari si preparavano serenamente all'estrema difesa decisi a non accettare la resa neppure con l'onore delle armi.
Molti degli ascari avevano, come è sempre stato costume nelle nostre truppe di colore, mogli e figli al seguito. Le donne erano circa 200 ed anche ad esse quindi non doveva mancare la scarna razione di farina, ceci o teff; la poca carne veniva distribuita ai feriti ed agli ammalati.
Continui erano i martellamenti delle artiglierie ed i mitragliamenti dal cielo causando sempre nuovi morti e feriti. Orinai ridotti con le scarpe a brandelli, i difensori si confezionavano calzari e cioce cori pelli di bovino disseccate e fasciature di tela di sacco legate con spago. Soldati così eroici avevano l'aspetto di straccioni e pagavano la loro tenacia coi sangue e col sudore, alimentati solo con una acida e muffa burgutta.
La scoperta di una sorgente risolse, in parte, il problema della sete; ma la fame cresceva e le razioni diminuivano: ormai si distribuiva agli uomini un misurino dì ceci a testa al giorno. Nei dintorni del caposaldo non c'era più nulla da razziare.
Unica soluzione, per non dover essere costretti a cedere per fame, andare a prendere i viveri con la forza in casa del nemico. Così il Ten. Col. Ugolini decise di effettuare per il 18 ottobre un nuovo colpo di mano: attaccare la base costituita dagli inglesi in un campo di 4.000 abissini presso il villaggio di Dambà Mariam.
All'assalto, dopo una minuziosa preparazione, sarebbero intervenuti, ad eccezione di pochi uomini lasciatì a guardia del ridotto, ì tre battaglioni del, presidio: il CCXL CC.NN., il I Carabinieri, il LXVII coloniale. Il primo avrebbe circondata la base da est, il secondo avrebbe attaccato frontalmente, il terzo avrebbe fatto l'avvolgimento da ovest.
Raggiunta nel cuore della notte, con la protezione delle alte erbe, le posizioni dalle quali scattare all'assalto, gli uomini dei tre battaglioni si lanciano come belve sugli accampamenti dei guerriglieri, annientando con le bombe ed all'arma bianca quanti tentano di resistere ed inseguendo quelli che fuggono dopo i feroci corpo a corpo; gli ultimi ad essere sgominati sono i difensori del grande deposito.
Mentre una parte degli italiani insegue il nemico in rotta, gli altri, aiutati dalle donne degli ascari, raccolgono tutto quello che trovano: sacchi di cereali, cassette di scatole di carne, armi, munizioni, medicinali.
Il tutto viene caricato sui muli o portato a spalla fino al ridotto, che peraltro è raggiunto solo dopo aver sostenuti altri combattimenti contro i ritorni offensivi dell'avversario. Fra i cadaveri nemici contati nell'accampamento distrutto erano stati riconosciuti quelli di vari ufficiali e sottufficiali inglesi. I nostri caduti ed i feriti, barellati, furono riportati a Culqualber: l'azione ci era costata 36 caduti e 31 feriti e fu citata sul bollettino n. 505 delle FF.AA.
Da quel giorno le popolazioni abissine ancora oggi ricordano con ammirazione i difensori di Culqualber, definiti con la loro figurata espressione come i « Leoni ruggenti del passo delle Euforbie ».
Dal 1° novembre gli inglesi, che ormai avevano terminato di radunare le masse destinate all'attacco finale contro i nostri caposaldi, ripresero un ininterrotto martellamento terrestre ed aereo delle nostre posizioni, causando ai difensori uno stillicidio di dolorose perdite. Il giorno 2, per la ricorrenza dei Defunti, dinanzi alle rappresentanze dei reparti, fu celebrata al cimitero la Messa in suffragio dei Caduti; nel corso di essa una nuova terribile incursione aerea colpì anche il cimitero, facendo vittime tra i vivi, squassando le ossa dei Caduti e colpendo anche l'ospedaletto da campo che pur portava, ben visibile, la grande croce rossa.
Il 4 novembre riprese sempre più violento il tiro delle batterie inglesi; i nostri pezzi non potevano controbattere per le loro minori gittate e per non sprecare le munizioni che dovevano servire per l'ultima lotta.
Al tiro delle artiglierie si alternavano massicce ondate di aerei da bombardamento e da caccia che colpivano ogni angolo delle posizioni; ma i difensori rimanevano inchiodati ai loro posti di combattimento e quando est-africani, sudanesi ed abissini inquadrati dai britannici tentavano l'inizio di un assalto, trovavano armi pronte e validi cuori a riceverli.
Alla sera del 5 le masse nemiche, totalmente respinte, avevano lasciati sul terreno moltissimi caduti. Il 6 novembre arriva a Culqualber il primo messaggio di intimazione di resa con l'onore delle armi: viene fieramente e decisamente respinto.
L'azione dell'artiglieria nemica riprende intensa il 10 mattina; verso le ore 12 si presentano agli avamposti due preti abissini con un altro messaggio, anche questo rigettato.
Gli inglesi avevano ormai ammassato contro la nostra difesa:
A Nord (Gen. di Brigata W.A.L. James).
La 25a Brigata Est Africana su tre battaglioni del King's African Rifles, varie compagnie mitraglieri, 6 batterie di vario calibro, una compagnia sudanese e circa 6.500 abissini. Complessivamente circa 13.000 uomini.
A Sud (Ten. Col. Collins).
La Southforce, su due battaglioni di Est Africani, una batteria su 6 pezzi della Costa d'Oro, una batteria Sud Afrìcana, varie compagnie mitraglieri e formazioni abissine: complessivamente 9.500 combattenti.
I1 presidio del ridotto italiano poteva ormai solo opporre 1.800 uomini laceri, affamati, sfiniti e febbricitanti, dei quali molti già feriti.
Siamo ormai all'ultimo atto della tragedia per i difensori di Culqualber-Fercaber, decisi più che mai, dai comandante allo ultimo soldato, a non arrendersi neppure con l'onore delle armi; piuttosto morire tutti.
Il 12 novembre comincia l'attacco decisivo; esso non riuscirà ad aver ragione di quel pugno di eroi se non il 21 novembre, dopo nove giornate di durissima lotta.
All'alba del 12 una cinquantina di aerei, in ondate successive ma continuate, tempestarono di bombe e mitraglia l'intera area dei capisaldi, procurando forti nostre perdite in morti e feriti.
Dopo una notte insonne, perché i difensori erano tesi per cercare di evitare qualsiasi infiltrazione, gli italiani furono investiti allo spuntare del giorno 13 da un attacco generale da tutte le direzioni.
Reparti regolari di indiani, di sudanesi e di est africani con una massa di abissini, tutti inquadrati da ufficiali e sottufficiali inglesi, si lanciarono all'assalto; il maggiore sforzo fu esercitato contro il costone dei Roccioni, sul lato nord, difeso dalle compagnie la e 3a del CCXL Btg. CC.NN. e dalla 2a del Battaglione Carabinieri. In qualche punto la linea fu intaccata ma la situazione fu subito ristabilita da una serie di furiosi contrassalti.
Il nemico, che aveva subite enormi perdite, fece scavalcare da nuove masse fresche quelle che erano state respinte nel primo attacco; questa volta gli abissini riuscirono ad arrivare fino sul bordo delle trincee ma vi furono annientati cori la bionetta e le bombe a mano.
Quando, verso le 17, l'avversario abbandonò la partita ormai perduta, oltre 150 suoi caduti erano disseminati davanti alle nostre linee; Carabinieri e CC.NN. si erano battuti da disperati, senza limiti di sacrificio. Presso la 3a Compagnia CC.NN., caduti tutti i difensori di un centro di fuoco, essi furono spontaneamente sostituiti da un gruppo di cucinieri e di scritturali; sottoposto nuovamente lo stesso centro ad un implacabile bombardamento di mortai nemici, questi valorosi combattenti improvvisati si lasciarono massacrare fino all'ultimo uomo piuttosto che abbandonare il posto che erano accorsi a difendere e far cessare così il fuoco delle armi del centro.
Alla fine della giornata del 13 il CCXL Btg. CC.NN. aveva già perduto il 45% dei propri effettivi.
Una giornata di sosta. La lotta riprese il 15 con un ennesimo furioso bombardamento delle posizioni italiane sia da terra che dall'aria.
Nuovi attacchi nemici si scatenarono il 16: furono tutti respinti sanguinosamente, ma intanto nuove perdite assottigliavano le file dei bravi difensori. Il mattino del 18, nel settore sud, si delineava un attacco coi carri armati: le mine a strappo ne facevano saltare alcuni e gli altri si ritiravano. Intanto, contemporaneamente, le autoblindo attaccavano a nord e venivano ributtate dai precisi tiri dei pochi pezzi della difesa.
Il 19, dopo una nuova proposta di resa onorevole, naturalmente anch'essa respinta, ricominciarono i bombardamenti aerei e continuarono il 20: la sella di Culqualber era tutta un ribollire di scoppi, di schegge e di fiammate. Le nostre perdite crescevano. Il Caposquadra Colagrossi, della 42 Compagnia CC.NN., ferito gravemente, rifiuta di essere trasportato all'ospedaletto e aggrappato alla mitragliatrice, continua a sparare cantando: « Ma la mitragliatrice non la lascio! ».
Alle tre del mattino del 21 novembre grossi nuclei nemici iniziano l'avvicinamento alle posizioni italiane, ferocemente investite dal fuoco da ogni direzione.
Prima dell'alba, nel buio, dai posti scoglio e dalle trincee, si era sollevato sommesso ed accorato e per l'ultima volta il canto di Culqualber: erano le CC.NN. del CCXL Battaglione! Davano lo estremo saluto alla Patria ed alla vita.
Dopo un fuoco spaventoso si sviluppò l'assalto decisivo e totale, con più violente puntate nei settori del fronte nord, tenuti dalle Compagnie 1a e 3a dei legionari e dalla 2a Compagnia Carabinieri. Contemporaneamente veniva investito il fronte sud (1a Carabinieri e 2a CC.NN.).
Alle prime luci mucchi di cadaveri nemici coprivano il 'terreno antistante alle nostre posizioni e molti erano i caduti ed i feriti fra i difensori. Ma non un palmo di terreno era ancora andato perduto.
Alle ore 6 l'attacco riprese sempre più intenso; il Ten. Col. Ugolini, dal suo posto di comando bersagliato come le trincee, si teneva in contatto coi comandanti dei suoi tre battaglioni. Anche a Fercaber, il XIV Btg. CC.NN. del Seniore Lasagni era assalito con violenza e si difendeva accanitamente.
Il secondo attacco della giornata si scatenò soprattutto contro il settore della 2a Compagnia CC.RR. e contro le CC.NN. di Calabrese e di Mazzoni. Le forze degli italiani si andavano assottigliando. I nemici giunti sulle trincee furono ancora una volta ributtati in furibondi corpo a corpo. Dalle due parti c'era stata una strage.
L'avversario era però riuscito ad infiltrarsi tra i due caposaldi di Culqualber e di Fercaber riuscendo così a separarli: ma il XIV Btg. CC.NN., ormai isolato, resisteva ancora arroccato alle sue posizioni.
Dopo le 7 l'attacco si faceva sempre più vigoroso. I carabinieri del capitano Azzari (2a Compagnia) erano maciullati dai colpi di mortai e dai mitragliamenti degli aerei a volo radente; un nuovo assalto trovò pochi superstiti che si difésero fino alla morte ed il nemico conquistò le trincee ormai deserte. Sommersi i posti avanzati, i reparti africani inglesi e gli abissini piombarono alle spalle degli ultimi uomini della 2a Carabinieri; questi contrattaccarono all'arma banca ma vennero schiacciati dal numero delle orde avversarie, e la stessa sorte toccò subito dopo alla 2a compagnia delle CC.NN.
Perduto anche il costone dei Roccioni, i pochissimi superstiti dei Carabinieri e dei legionari, sfiniti e sanguinanti, ripiegarono raccogliendosi intorno al comando per l'estremo sacrificio.
Sul settore sud intanto CC.RR. e CC.NN., allo sperone ed alla gola Uorkajè, resistevano senza cedere terreno; il nemico, ubriaco di alcool e di successo, stava per invadere l'interno del ridotto; ma le ultime due compagnie di ascari, con il Maggiore Garbieri alla testa, vennero gettate al contrattacco. Esse esitarono un istante, ma, quando videro aggiungersi ad esse gli ultimi resti degli italiani, si buttarono sull'avversario. Questo non ebbe il coraggio di affrontare questi uomini trasformati in belve e si diede alla fuga. Alle 9,30 tutte le trincee erano riconquistate.
Contemporaneamente la drammatica lotta impegnava la 4a Compagnia delle CC.NN. In suo soccorso accorreva la la Compagnia del LXVII coloniale ed insieme i due reparti riuscivano a disperdere i sudanesi.
Dopo una breve pausa la lotta si riaccende feroce con un nuovo attacco alla la Compagnia Carabinieri del Capitano Celi ed al costone dei Roccioni ora difeso dai resti delle compagnie CC. NN. 1a e 3a del CCXL Btg.
Maciullati dai colpi delle bombarde i difensori dovettero ripiegare alquanto; poi, aiutati dagli ultimi ascari, con un estremo contrattacco ristabilirono l'integrità della linea.
I caduti si sommavano ai caduti; i sopravissuti avevano ormai accettato serenamente il loro destino di morte. Il tempo passava, finivano le munizioni, ma la lotta continuava inesorabile. Alle 12,50, primo fra gli avanzi dei suoi ascari, cade il Maggiore Garbieri.
Intanto il presidio di Fercaber, (le CC.NN. del XIV Btg., i pochi ascari ed i genieri ed artiglieri), aveva dovuto soccombere letteralmente sopraffatto. Erano le 13 del 21 novembre ed a Culqualber si lottava ancora stoicamente. Il Maggiore Serranti, comandante dei Carabinieri, già ferito e sanguinante, continuava imperterrito a restare cogli ultimi uomini del suo battaglione. Anche il Ten. Col. Ugolini perdeva sangue da molte ferite, ma nessuno cessava di combattere.
Sotto l'impeto di un feroce assalto degli abissini i difensori, sfiniti, cominciarono a vacillare. Raccolto l'ultimo pugno di soldati, il Maggiore Serranti ed il Seniore Cassòli del CCXL Btg. CC. NN. balzano ad un estremo contrassalto: mescolati, Carabinieri, CC.NN., ascari e genieri, al grido di «Savoia», ingaggiano una lotta furibonda.
In quest'ultimo disperato slancio muore gloriosamente il Maggiore Serranti trapassato dalla baionetta di un sudanese; subito dopo, cade fulminato da una pallottola il Seniore Cassòli, comandante del CCXL Btg. CC.NN.
Raccolti attorno all'eroico comandante del ridotto, poclirissimi sopravvissuti, sparati gli ultimi colpi, fatti saltare i pezzi di artiglieria, inutilizzate le armi, contornati dai corni dei compagni caduti, si preparano a morire. II Ten. Col. Ugolini fa ammainare la bandiera e la brucia.
Intanto l'ondata dei nemici arriva al cuore del caposaldo ed un soldato est africano si lancia con la baionetta contro il comandante italiano, ma viene fermato, appena in tempo, da un capitano inglese, che saluta Ugolini e rinuncia a farsi consegnare da lui la pistola. In riconoscimento del suo valore, con una, autorizzazione speciale del Gen. James, Ugolini potrà conservare l'arma anche in prigionia.
Cade così il sipario sull'epopea di Culqualbcr - Fercaber, L'eroica superba estrema difesa è costata, tra il 1.3 ed il 21 novembre, le seguenti perdite:
- su circa 1.580 nazionali: caduti, 513 - feriti, 404.
- su circa 1.200 coloniali : caduti, 490 - feriti, 400.
su circa 200 donne mogli degli ascari, ne perirono oltre 100,
In particolare, il CCXL Btg. CC.NN. si immolò quasi completamente sul campo.
Il Generale Nasi propose per la Medaglia d'Oro al V.M. il comandante Ugolini ed i tre comandanti di battaglione.
La battaglia di Gondar.
Subito dopo, il 23 novembre, il nemico poteva così investire, con colonne motorizzate, la cinta di Azozò iniziando l'ultima lotta per Gondar.
Le nostre forze di difesa erano:
- A Gondar:
1) Settore N.E. (Amba Genio) - Un gruppo bande; una sezione mortai da 81; una batteria da 65/17; una compagnia genio. Totale: 1.179 uomini.
2) Settore Gondar (Est) - Il Btg. Coloniale; una compagnia mortai da 81; una batteria da 120/25; una compagnia coloniale; due compagnie del CLI CC.NN.; una batteria da 104/32. Totale: 858 uomini.
3) Settore Gomità (Ovest) - CXLVI Btg. CC.NN.; una batteria da 75/13; una sezione da 75/28; due sezioni mortai da 81. Totale: 540 uomini.
- Ad Azozò:
1) Settore Azozò .. Tre compagnie del XIII Btg. CC.NN.; XIV gruppo cavalleria appiedata; una centuria lavoratori; una batteria da 100/17; una batteria da 77/28; una sezione da 20. Totale: 1.440 uomini.
2) Settore Magasc - CLXVI Btg. CC.NN. più una compagnia del CLI Btg. CC.NN.; due batterie da 65/17; una sezione mortai da 81. Totale: 640 uomini.
- Riserva: DII Btg. CC.NN. di 530 uomini; XXII Brigata coloniale di 615 uomini e 615 uomini dei servizi.
Le forze nemiche contrapposte erano:
- XXVI Brigata King's African Rifles.
- Un Reggimento scozzese su due battaglioni.
- Artiglieria e carri leggeri.
- Gruppi di armati dell'Ermacciò e del Chernantì cori alt i-cartiglierie.
- Un battaglione etiopico di ex Ascari.
- Formazioni di paesani armati.
- XXV Brigata del R.ing's African Rifles.
- 60 carri armati.
- Artiglieria autotrasportata.
- Reparti di carri leggeri.
- Armati abissini.
- Un battaglione Sud Africano.
- Un battaglione della Francia libera.
- Altri paesani armati.
In tutto, oltre alle forze britanniche e francesi, si potevano contare: 10.000 abissini al comando di ufficiali inglesi; 20.000 paesani armati al comando di capi ribelli.
Come è facile constatare, lo squilibrio delle forze era a noi schiacciantemente sfavorevole, soprattutto in relazione ai mezzi.
Dal 24 al 26 novembre il nemico effettua esplorazioni e ricognizioni per saggiare la nostra difesa: con carri armati, reparti appoggiati da artiglieria mosse all'alba del 24 a tentare la riconquista del ponte della rotabile del Magasc e già nel tardo porrmeriggio rinunciava di fronte alla tenacia dei difensori.
Gli inglesi rinnovano il tentativo il 25 in forma più estesa ma con lo stesso risultato negativo. Il 26 altro ritorno offensivo, sempre appoggiato da carri armati e sempre con esito negativo.
Alle ore 4 del 27 il nemico torna ad investire da sud con forze preponderanti; l'attacco si estende man mano agli altri lati del ridotto. Dopo -lotta sanguinosa condotta eroicamente dai nostri fino ad esaurimento delle munizioni, verso le 9 la battaglia è già estesa a tutto il fronte; alle Il ìl fronte meridionale è travolto, il nemico riesce ad entrare in Azozò e prosegue per Gondar.
Intanto sul fronte orientale una brigata sud africana con un battaglione della Francia libera e gruppi di ribelli, attaccavano e venivano respinti per tre volte consecutive; magnifica la reazione della eroica XXII Brigata coloniale sull'Amba Badoglio. Però il tiro delle poche batterie non poteva frenare ma solo rallentare l'avanzata dei carri armati che alle 14,30, seguiti dalle autoblindo riuscivano ad entrare nell'abitato di Gondar. Alle 16,30 era raggiunta la Banca d'Italia, sede del comando di Scacchiere del Generale Nasi. Una missione di parlamentari scortata e protetta dalle camionette inglesi si recava ad Azozò a chiedere una tregua. A causa del ritardo nel ritorno dei parlamentari la lotta continuava: i nostri, isolati, accerchiati, continuavano a difendersi bravamente nei vari punti della città. Masse abissine si davano al saccheggio tenute a freno molto difficoltosamente dai Carabinieri, dalle Guardie di Finanza e dagli stessi inglesi.
L'ordine di resa non poté raggiungere i vari centri; i capisaldi di Ualag, Chercher, Celgà e Gorgorà, seguitarono valorosamente a lottare per tutto il 27 e deposero le armi solo dietro ordine perentorio del nostro comando il mattino del giorno 28 novembre. Ultimo reparto a deporre le armi fu il DII Btg. CC.NN.
Le nostre perdite totali furono di:
22 Ufficiali.
495 Nazionali.
1.248 Coloniali.
pari ad un terzo della forza globale. Questo fu l'eroico sacrificio tributato all'onore militare prima che si ammainasse in F.O.I. l'ultimo tricolore.
Con questa epica lotta si conclude la guerra in Etiopia. Nella difesa dell'Impero la Milizia ha sacrificato 30 battaglioni, dodici dei quali furono tra le ultime truppe nazionali che si batterono fino ai limiti estremi dell'eroismo e della possibilità umana nel Gondarino. Frutto di tanta bravura fu l'onore alla nostra bandiera, reso dal nemico.
Prima della battaglia il Generale Nasi, aveva telegrafato:
«CC.NN. ai miei ordini sono ossatura difesa Gondarina e danno giornalmente ammirevole prova di tenacia e di valore».
Non si sarebbero smentite fino alla fine ed all'ultimo supremo sacrificio.
NOTE
FONTI
(*) Testo tratto da: E. Lucas-G. De Vecchi, "Storia delle unità combattenti della M.V.S.N. (1923-1943)", Giovanni Volpe Editore, Roma, 1976
Altri riferimenti: vedi la pagina contenente la bibliografia