La Regia Marina in Africa Orientale

 

 

 

 

 

 

 

Uno sguardo al passato

 

La storia dell'opera e dell'attività della Regia Marina in Eritrea e nella Somalia è strettamente collegata alla storia della nostra penetrazione nel continente africano. Subito dopo la costituzione del Regno d'Italia e non appena l'apertura del Canale di Suez permise più rapide comunicazioni fra il Mediterraneo e l'Oriente, le nostre navi da guerra furono inviate sulle coste del Mar Rosso e poi. più tardi, dell'Oceano Indiano, a mostrarvi la nostra bandiera e a studiare e a preparare le vie della nostra espansione coloniale.
L'opera di queste navi che infaticabili, incuranti delle difficoltà, degli ostacoli e dei disagi d'ogni genere, tessevano giorno per giorno la trama sottile e pur così resistente e ardita di un'altissima opera di civiltà, è ancor oggi poco conosciuta. Forse una spiegabile ragione si può trovare nelle circostanze stesse in cui le navi agivano e cioè in regioni lontane, prive di mezzi di comunicazioni con il consorzio civile.
«Bisogna pensare che specialmente quando non esisteva la radiotelegrafia. gli ordini alle navi dislocate in Mar Rosso erano impartiti con telegrammi appoggiati ad Aden e, per quelle operanti in Benadir, a Mombasa o Zanzibar. Per recarsi a telegrafare, la nave doveva spostarsi dal luogo dove stazionava percorrendo a volte centinaia e centinaia di miglia. E poiché d'altra parte si trattava quasi sempre di questioni delicate che non potevano essere immediatamente divulgate, si comprende come l'attività della Marina restasse ignorata dal pubblico e venisse poi consacrata agli archivi. Le rare discussioni parlamentari ed i sobri annunzi che i quotidiani ne facevano di volta in volta, non potevano illuminare che parzialmente l'opinione pubblica, la quale non avvertiva che come semplice notizia di cronaca. la partenza o l'arrivo di uno stazionario coloniale, ignorando che i lunghi mesi o gli anni di assenza dalla madrepatria venivano trascorsi in rade aperte, di fronte a spiagge deserte e nauticamente pericolose». Nè il pubblico poteva rendersi conto delle immense difficoltà che ostacolavano l'esplicazione di mansioni le più disparate e il compimento di missioni che richiedevano energia, tatto, abilità e nello stesso tempo imponevano ai comandanti numerose e spesso assai gravi responsabilità.
Oggi, riguardando a tanta distanza di tempo il cammino percorso, si può ben dire che si deve all'azione energica e accorta delle nostre navi se l'Italia poté porre piede in Mar Rosso e sulle coste dell'Oceano Indiano e, a poco a poco, realizzare la costituzione di due primi nuclei embrionali intorno a cui dovevano più tardi svilupparsi le due colonie dell'Eritrea e della Somalia. Esitante e incerta era l'azione dèi governi di allora, assorbiti da "difficoltà politiche e da gravi vicende interne, e nessuna rispondenza trovavano nell'opinione pubblica i problemi coloniali. Basti pensare che la base che nel 1870 la Società Rubattino, con chiaro intuito del futuro sviluppo dei commerci, aveva istituito ad Assab per il rifornimento dei suoi piroscafi, rimase ufficialmente ignorata fino al Natale del 1879. Fu solo allora che il governo si decise ad appoggiare l'iniziativa della società e a mandarvi una nave da guerra - l'Esploratore - con a bordo una spedizione geografica.
L'Esploratore, coadiuvato dalla R.N. lschia giunta poco dopo, contribuì validamente ai lavori d'impianto della colonia. Assai interessante è il rapporto del Comandante della nave: «Quanto di serio, di faticoso, di veramente utile fu fatto in Assab, in tempo piuttosto breve, come lo sbarcatoio (lungo 60 metri), lo scalo di alaggio. l'installazione del forno e del distillatore, lo scavo dei pozzi di acqua dolce, tutto devesi esclusivamente all'opera indefessa degli equipaggi dell'Esploratore e dell'Ischia, che durante l'attuale stagione diedero ad ogni istante prove convenienti della potenza di abnegazione e dell'ottima indole del marinaio italiano...»
Il contributo che la Marina portò alla conquista prima e poi alla valorizzazione delle nuove terre, abbraccia tutti i campi tutte le attività: missioni politiche e operazioni belliche; sistemazioni logistiche delle basi e degli approdi sparsi lungo la costa deserta; esplorazioni nell'interno; e in fine tutta un'imponente attività scientifica - determinazioni geodetiche di precisione rilievi idrografici, osservazioni meteorologiche e talassografiche, sistemazione di segnalamenti marittimi e di radiofari, impianto di una estesa rete di stazioni radio telegrafiche - attività che pone l'Italia a primissimo posto fra le nazioni civilizzatrici dell'Africa. Fu dunque opera vasta complessa, difficile, spesso eroica, che s stende nel tempo senza soluzione di continuità. Riassumere le varie fasi anche limitandoci ai soli episodi più salienti del lungo e faticoso cammino, non è possibile. A dare un'idea sommaria di quanto prezioso e fattivo sia stato in ogni tempo il contributo della Marina basterà qui ricordare l'alto encomio che il Governatore della Somalia tributò alla R.N. Lussin nel 1927, quando. per volere del governo fascista, nuovo impulso fu dato all'assetto definitivo dei nostri possedimenti dell'Oceano Indiano: «In tre mesi di aspra crociera nell'Oceano Indiano sulle coste della Migiurtinia, comandante, ufficiali, equipaggio della R.N. Lussin con pochezza di mezzi, senza sosta. senza riposo e senza risparmio di ogni fatica. davano splendida prova delle qualità marinaresche della razza e di alto spirito di sacrificio, contribuendo mirabilmente alla conquista e all'assoggettamento della Migiurtinia».
In queste parole è sintetizzata tutta l'opera silenziosa e tenace che la Marina ha svolto per anni e anni e che cori nuova fede e nuovo entusiasmo continua a svolgere ora che la Nazione italiana ha ritrovato la coscienza dei suoi destini imperiali. Destini, la cui realizzazione ha avuto finalmente inizio nell'anno XIII dell'E. F., con una grandiosa preparazione bellica e con il passaggio risoluto dei confini, che non erano soltanto quelli tra le nostre colonie dell'A.O. e l'Abissinia, ma tra la civiltà e la barbarie.

 

Sbarco di materiali a Mogadiscio. Archivio Vito Zita ©

Fonte: Cronache illustrate dell'azione italiana in A.O., Tuminelli e C. Editori, Roma, 1936


Le basi marittime per le operazioni del 1935


Il problema più grave e più importante fra i moltissimi che si presentarono al primo delinearsi del conflitto con l'Etiopia, fu senza,dubbio quello delle basi marittime di operazioni. Per una spedizione (l'oltremare, la base è «come il polmone che dà respiro al grande organismo costituito dall'esercito operante... Un insufficiente suo sviluppo od un suo manchevole funzionamento possono. prima o poi. provocare sgradevoli sorprese. se non anche un completo insuccesso».
Nel caso nostro. la vastità di proporzioni dell'impresa - vastità che non ha riscontre nella storia delle guerre coloniali -; la grande distanza dei teatri d'operazione dalla madrepatria; le immense difficoltà d'ogni genere - clima, situazione geografico-strategica, natura del terreno, mancanza di qualsiasi risorsa locale ponevano il problema delle basi in termini che erano di una entità assolutamente eccezionale e che imponevano - condizione sine qua non - di poter disporre di porti ampi, sicuri, bene attrezzati, largamente dotati di magazzini, di pontili, di mezzi di scarico. La situazione di fatto, quale invece si presentava ai primi dello scorso anno, era semplicemente tragica: le sole località di tutta la costa eritrea e somala che potevano essere utilizzate come basi di operazioni erano Massaua e Mogadiscio. Ma né l'una né l'altra erano in condizioni da poter assolvere, sia pure approssimativamente, un simile compito.
Massaua era una tranquilla cittadina tropicale di tre mila abitanti. Affacciata in un mare che, dopo il Golfo Persico, è il più caldo del mondo, viveva modestamente e come rassegnata sotto il peso del destino che le ha imposto l'incomodo privilegio di ospitare l'equatore termico. La mancanza di acqua, il clima afoso e snervante, rendevano il soggiorno degli europei, se non proprio impossibile, certo molto difficile e sembravano negarle ogni possibilità di sviluppo.
Davanti al suo porto, i grandi piroscafi di linea passavano veloci e come impazienti di sboccare nell'Oceano e solo i postali italiani, qualche misto inglese, i soliti piroscafi giapponesi che caricavano sale per le Indie e qualche centinaio di sambuchi vi gettavano l'ancora. In media, il traffico mensile si aggirava sulle 2.000 tonnellate. E poiché le banchine, i mezzi meccanici di elevazione, i raccordi ferroviari, i magazzini - tutto ciò, insomma, che serve alla vita di un porto - era proporzionato al ritmo lento e senza fretta di questo traffico, le operazioni di scarico erano una faccenda spesso complicata, sempre molto lenta.
Fu questo porto che da un giorno all'altro gli avvenimenti chiamarono a sostenere un traffico colossale e vertiginoso.
Le 2.000 tonnellate mensili di merci diventarono in un primo tempo 25 mila e, subito dopo, 60 mila e più; i pochi e rari passeggeri di un tempo diventarono intere divisioni, che bisognava far sbarcare rapidamente affinché le truppe restassero il meno possibile nel difficile clima di Massaua.
Soltanto un miracolo poteva permettere di superare le difficoltà e gli ostacoli immensi che si opponevano alla realizzazione di così vasta impresa. Chiunque altro si sarebbe scoraggiato: non si scoraggiò certo l'animo tetragono di Emilio de Bono e dei suoi collaboratori della R. Marina.
Ed il miracolo fu compiuto.

 

Sbarco di una Littorina a Massaua. Archivio Vito Zita ©

Fonte: Cronache illustrate dell'azione italiana in A.O., Tuminelli e C. Editori, Roma, 1936


La Marina italiana, che è avvezza a osare I'inosabile e a lottare ogni giorno, ogni ora, contro difficoltà e ostacoli d'ogni genere, prese su di sé, serenamente, la responsabilità della riuscita. Le sue molteplici esperienze in materia di organizzazione portuaria - guerra libica, impresa di Albania, salvataggio dell'esercito serbo, operazioni di guerra in Macedonia - le davano la certezza di vittoria anche in questa dura battaglia logistica.
Il primo ostacolo da superare era quello della piccolezza del porto: a costruirne un altro non c'era neppure da pensare. L'unica via che restava aperta era quella di tentare d'ingrandire alla meglio le opere esistenti.
E questo fu fatto.
Senza che il ritmo febbrile delle operazioni di sbarco avesse a subire intralci o rallentamenti di sorta, furono prolungate le banchine, gettati nuovi moli e nuovi pontili, dragati ampi specchi d'acqua, rendendoli accessibili anche ai più grossi piroscafi; furono approntati alcuni scali sussidiari nelle vicine insenature, costruiti nuovi raccordi ferroviari, larghi piazzali, ampi magazzini e tutta una rete di binari fra le banchine ed i magazzini stessi.
Contemporaneamente, dalle basi navali della madrepatria venivano inviati numerosi rimorchiatori, chiatte, zatteroni e bettoline d'ogni genere e d'ogni capacità, insieme con due navi - Sesia e Garigliano che per le loro speciali caratteristiche erano particolarmente adatte a facilitare lo sbarco delle truppe. L'invio di questi natanti non fu facile impresa. Se quelli di peso non superiore alle 10 tonnellate potevano essere spediti sui piroscafi, gli altri - ed erano i più - dovevano necessariamente essere rimorchiati. E rimorchiarli significava affrontare i rischi di una lunghissima navigazione e i mille pericoli derivanti dalle mutevoli condizioni meteorologiche.
Le seguenti cifre potranno dare un'idea dell'entità del l'impresa : nel corso del 1935 sono stati inviati in Eritrea 134 zatteroni da sbarco, 24 pontili speciali, 8 rimorchiatori, 14 pirobarche, 17 motolance. 3 barche-pompa, 2 motocisterne, 3 pontoni a biga, 1 pontone per la produzione di energia elettrica, 18 bettoline per trasporto di materiali vari e di nafta. Nello stesso periodo, sono stati inviati in Somalia 2 rimorchiatori, 7 bettoline e numerose zattere, motolance, barche a vapore, ecc.
Mentre i lavori di ampliamento del porto si venivano compiendo con febbrile alacrità, e i primi mezzi cominciavano ad affluire, la situazione fu sovente quasi drammatica: la scarsezza della mano d'opera, soprattutto per effetto dei divieti di emigrazione promulgati dall'Egitto. dal Sudan e dagli altri paesi soggetti a dominazione britannica, contribuiva a rendere lento il ritmo delle operazioni di scarico, cosicché i piroscafi erano costretti a lunghe soste in rada; l'insufficienza dei mezzi di trasporto impediva lo sgombero delle banchine e le merci, talune delle quali deteriorabili, si accumulavano un po' dappertutto. Ci furono dei momenti in cui veramente parve che le difficoltà fossero più forti degli uomini. Ma capi e gregari non disperarono, non ebbero né esitazioni né dubbi. La loro volontà e il loro entusiasmo riuscirono ad aver ragione di ogni ostacolo. A poco a poco, a furia di imparare, di migliorare, di organizzare, di perseverare, la meta che pareva irraggiungibile fu, non solo raggiunta, ma superata. In breve, dalle 80 tonnellate giornaliere che a stento in principio era possibile scaricare, si giunse alla fantastica cifra di quasi 2.500 tonnellate. in pari tempo, la potenzialità di ricovero, che era di tre o quattro piroscafi, salì fino a 50 circa.
E mentre nel maggio 1935, e cioè prima che la Marina si assumesse l'organizzazione del porto di Massaua, in corrispondenza di 18 piroscafi presenti in media nel porto, si aveva una sosta di giorni 6 per i trasporti di truppa e di giorni 18 per i trasporti di quadrupedi o di materiali, già verso la fine di agosto, pur essendo aumentato progressivamente il numero medio di piroscafi presenti, fino a raggiungere la cifra giornaliera di 50, la sosta media di trasporti truppa si era ridotta a 1 o 2 giorni e quella delle navi da carico a circa 7 giorni.
Ma accanto al problema dell'organizzazione del porto, altri numerosissimi sorsero ed erano tutti di difficile e non meno urgente soluzione. Primo, quello del rifornimento dell'acqua.
Oggi Massaua. alle risorse idriche del sottosuolo convenientemente sfruttate, aggiunge un impianto industriale capace di produrre 7.500 tonnellate giornaliere di acqua distillata ed aereata; ma all'epoca in cui cominciarono a sbarcare i primi contingenti di truppe, l'acqua era appena sufficiente ai bisogni della popolazione indigena. Questa scarsezza d'acqua, insieme con la mancanza di ghiaccio e di mezzi sanitari, rendeva penoso il lavoro delle maestranze venute dall'Italia.
Alla mancanza di ghiaccio e di mezzi sanitari. fu relativamente facile provvedere dislocando le navi refrigeranti Serdica e Asmara e provvedendo ad allestire rapidamente un certo numero di navi-ospedale. La prima di queste fu il piroscafo California, opportunamente trasformato e adattato in un tempo incredibilmente breve. La sua presenza a Massaua permise di prodigare ai nostri portuali un'efficace ed amorevole assistenza.
Assai più difficile fu la soluzione del problema idrico. Tanto più difficile in quanto non bisognava provvedere solamente al rifornimento di Massaua ma anche a quello di Mogadiscio e delle basi di sbarco sussidiarie Bender Kassim, Alula, Chisimaio, Obbia, ecc. - che man mano la Marina veniva approntando. Fra i primi e più importanti provvedimenti vi fu quello di inviare a Massaua la R.N. Città di Siracusa adattata a nave-distillatrice. In pari tempo, si stabilì che i piroscafi arrivassero in porto col carico d'acqua quanto più possibile al completo, in modo da essere nelle condizioni di poterne cedere una parte alla città e si provvide a concentrare in Mar Rosso tutte le navi-cisterna. grandi e piccole, di cui la Marina disponeva.
DalmaziaIstriaGariglianoSesiaSebetoAnteo e tante e tante altre che troppo lungo sarebbe enumerare. furono subito dislocate a Massaua e non ebbero se non qualche adattamento di fortuna per affrontare il clima tropicale. Quasi da un giorno all'altro queste navi passarono dalla tranquilla e metodica attività che svolgevano nelle acque della madrepatria, ad un lavoro faticoso e incessante, che assoggettava uomini e macchine ad uno sforzo senza pari.
Le macchine qualche volta cedettero: gli uomini mai. Sorretti da una volontà tenace, incuranti della fatica, dei disagi, del clima, i marinai lottarono contro ogni difficoltà, trionfarono di ogni ostacolo. Non ebbero mai né un giorno né un'ora di riposo. Tutto il loro mondo cominciava e finiva ai fianchi delle loro navi e, per mesi e mesi, nell'atmosfera infocata del Mar Rosso. non ebbero altra preoccupazione all'infuori di quella di mantenere in perfetta efficienza gli apparati motori, affinché la loro attività, che era così necessaria, non subisse il più piccolo arresto. Appena il tempo di scaricare il prezioso liquido e subito ripartivano per Massaua dove, attraccate ai fianchi dei grossi piroscafi provenienti dall'Italia, si rifornivano del prezioso liquido...
Assai peggiore era la situazione di Mogadiscio e assai più gravi le difficoltà da superare. Tutto sommato, Massaua un porto l'aveva. Piccolo, modesto, male attrezzato, ma pur sempre porto. Mogadiscio non aveva nemmen quello. I piroscafi erano costretti a dar fondo in rada aperta e battuta dal monsone, sì che a mala pena era possibile scaricare - in buone condizioni di tempo e, con maestranze particolarmente allenate - qualche diecina di tonnellate al giorno di materiali vari.
Per dare un'idea dello sforzo compiuto dalla Marina nell'improvvisazione di opportuni apprestamenti, basterà accennare che oggi a Mogadiscio è possibile scaricare circa 2.000 tonnellate di materiali vari al giorno, e che la sosta media delle navi trasportanti truppe si è ridotta dagli altissimi valori iniziali a circa 10 giorni e a circa 20 giorni quella delle navi (la carico, pur essendo salito da 10 a 25 circa il numero dei piroscafi giornalmente alla fonda in rada.
Contemporaneamente, anche le basi di Bender Kassim, Aiuta, Dante, Obbia, MIerca, Brava, venivano opportunamente attrezzate e in esse potevano essere sbarcate complessivamente 500 tonnellate giornaliere di materiali.
Un giorno, forse, le statistiche diranno colla fredda concisione dei numeri di quanta abnegazione e di quanti sacrifizi è frutto la meta raggiunta. Ora, ai marinai è premio l'aver assolto il proprio compito al di là di ogni aspettativa, e di avere contribuito con tutte le loro forze a questa grandiosa opera di guerra e di civiltà dell'Italia Fascista.

 

 

N. Morabito